Il summit
L’incontro tra Trump e Xi Jinping sarà davvero un good deal? Terre rare, dazi e l’autonomia di Taipei
Trump sorride e cerca di mostrare cordialità: “Faremo un buon accordo -a very good deal – ne sono sicuro, perché nessuno ha voglia di litigare”. Di tutt’altro parere, il suo omologo cinese fa sapere di essere pronto alla rissa, visto che con le buone c’è il rischio di non ottenere nulla da Trump.
Xi Jinping punta a incassare un successo sia economico (dogane, e contratti) sia politico: che Donald Trump si impegni a non ripetere di voler sostenere l’indipendenza di Taiwan. Poi, vorrebbe trattare un passaggio graduale dell’antica isola di Formosa sotto la sovranità della Cina, senza tener conto dell’atteggiamento del Giappone e dell’Australia che hanno confermato di considerare un’eventuale invasione cinese di Taiwan come un “casus belli”. Il Giappone è oggi più che mai amico dell’America, ma non ha alcuna intenzione di seguire le prescrizioni della Casa Bianca sulla politica estera.
Quando Trump ha sentito della richiesta cinese su Taiwan ha risposto: “La Cina non invaderà mai Taiwan perché non ne ha il potere né la forza: siamo soltanto noi ad avere l’una e l’altra”. Dopodiché, come è nel suo stile, si è lamentato per l’avarizia con cui Taiwan ripaga la protezione militare e la produzione dei semiconduttori chiesti dagli americani. Da Taipei, capitale di Taiwan, hanno garantito che l’anno prossimo l’isola spenderà più del tre per cento del prodotto lordo e Trump ha subito obiettato che la cifra giusta dovrebbe aggirarsi fra il 5 e il dieci per cento. Con queste premesse, è difficile che Xi Jinping possa ottenere da Trump una dichiarazione di non-sostegno a Taiwan.
Che cosa avranno dunque in mente i duri di Pechino per mettere alle corde il Presidente americano? Stando a quel che si legge sulla stampa cinese, Pechino vuole un nuovo sistema di regole che sostituisca quello attuale dominato dalle leggi americane: specialmente regole per le carissime “terre rare” senza le quali non si possono mandare avanti le nuove tecnologie. Stavolta le regole non devono più avvantaggiare gli americani. La studiosa cinese Jie Gao (citata da “Le Monde”) che vive a Washington come ricercatrice del centro d’analisi cinese “Asia Society” dice: “Gli americani non sono interamente preparati per tutti i dossier dell’incontro. In particolare, gli Usa hanno sottostimato l’impatto delle terre rare sulla loro economia. Pensano di avere sempre la mano vincente, ma credo che oggi si sbaglino”.
Dopo essersi sentiti beffati da Trump nel vertice del 2020, Xi Jinping ha fatto cacciare l’ex vice-primo ministro Liu He che aveva concesso agli americani acquisti per duecento milioni di dollari e lo ha sostituito con un duro. Sarà quindi un vero scontro fra i due presidenti, perché il cinese ha accusato l’americano di comportarsi come un predatore. In questi mesi è stata orchestrata una campagna di stampa contro lo sventurato Liu He, il viceministro che aveva condotto nel 2020 i negoziati con Trump “con le buone” e si è visto paragonare alla memoria del codardo Li Hongzhang, l’ufficiale della dinastia Qing che firmò nel 1895 un trattato col Giappone che avrebbe condotto l’intera Cina al deplorato “secolo d’umiliazione”. Stavolta Xi pensa di avere più carte da giocare con Trump perché ha fiducia nella propria forza, anche militare, e ha deciso di controbattere tutte le proposte, le offerte e i rifiuti di Trump, “colpo su colpo”.
Il direttore del Centro di studi americani dell’università di Fudàn a Shanghai, Wu Xinbo è l’intellettuale che più di tutti ha contaminato di sdegno il presidente cinese: “Essere gentili con gli americani non serve, ha detto. Ci hanno preso per scemi una volta, non succederà di nuovo”. E le armi cinesi più preziose da far pesare sulla trattativa di oggi sono gli scambi e i prezzi delle “terre rare” indispensabili all’industria dei microchip. I primi segnali di scontento dopo il 2020 si erano visti già nel Midwest nel 2022, quando la Cina cominciò a rendere infelici gli agricoltori americani rifiutandosi di comperare la loro soja e preferendo quella brasiliana e argentina.
C’è poi apertissimo, ma non dichiarato, il problema della guerra mossa dalla Russia all’Ucraina. Xi Jinping ha recentemente ribadito nel modo più assoluto che la Russia non deve perdere la guerra. Una dichiarazione clamorosa perché la più alta autorità cinese ammette che la Russia possa perdere in Ucraina dove ormai l’esercito di Kyiv, benché decimato, ha raggiunto per conto suo altissime vette tecnologiche nell’invenzione e nella produzione di droni. La Cina, per quanto schierata con la Russia per motivi commerciali determinati dalle forniture di petrolio, non ha mai visto di buon occhio quella guerra, perché potrebbe avere conseguenze su Taiwan. Accettare il principio che si possa invadere e vincere non è quel che vuole Pechino perché considera legittimo il possesso di Taiwan, mentre l’Ucraina, che non appartiene in alcun modo alla Russia, spariglia le carte. Putin sarà ovviamente il convitato di pietra al summit di Seul.
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