La politica è fatta di opportunità che devi saper cogliere. È con queste lenti che vanno lette le parole con cui la premier Meloni ha accolto ieri, a Palazzo Chigi, il vice presidente Usa, JD Vance. «Italia e Stati Uniti sono pronti a rafforzare la loro collaborazione bilaterale. Crediamo di poter diventare un partner importante nel Mediterraneo per Washington. C’è un rapporto privilegiato tra noi di cui io vado molto orgogliosa». A una prima analisi – preconcetta e pretestuosa – ci si potrebbe chiedere: perché, prima com’era? Degli Usa non eravamo già i migliori amici nel Mediterraneo? Certo che sì. Meloni però ha voluto ribadirlo. In questo mare chiuso, ma strategico, l’Italia viene prima di chiunque altro. Prima di Parigi, Madrid, o persino Bruxelles, dove von der Leyen ha delegato un commissario ad hoc di cui nessuno ricorda il nome.

L’uno-due con Trump e Vance, Meloni brucia Macron

Questa partita di ritorno, Roma-Washington-Roma, è apparsa ai più inusuale. Che senso ha, ci si è chiesti, un summit con Vance a neanche quarantott’ore da quello con Trump? Semplice, Meloni ha evitato che nessun altro leader europeo potesse dire di aver avuto un bilaterale con entrambi i vertici Usa in tempi così ravvicinati. Emmanuel Macron, giusto per fare nomi e cognomi, ha sì incontrato Trump e Vance. Ma quest’ultimo in occasione del “Summit for Action on Ai”, di Parigi a inizio febbraio. Non il momento ideale per un confronto vis à vis.

Così, mentre Meloni studiava i suoi tempi, Washington si muoveva in sintonia. Proprio quando Vance usciva da Palazzo Chigi, in direzione San Pietro, per seguire la funzione del Venerdì Santo, la Casa Bianca diffondeva la dichiarazione congiunta di Trump e Meloni dopo il loro bilaterale di ieri. Mettendo nero su bianco quello che la nostra premier si è portata a casa. Dall’intenzione di Washington di sostenere il Piano Mattei, “sull’esempio del successo degli Accordi di Abramo”, per la realizzazione di progetti infrastrutturali, al sostegno degli Usa alla nostra domanda di Gnl, servizi cloud e Ai. Come contropartita, Trump ha chiesto che le Big Tech non vengano discriminate. Ora, il tycoon può non piacere – e in effetti non è il massimo – ma alzi la mano chi avrebbe detto “no, grazie”.

Il cambio di linguaggio

L’opportunista politico però sa anche condividere il risultato. Evitando di sentirsi rinfacciare di aver agito solo per il proprio “particulare”. Non si può negare infatti il merito a Meloni di aver convinto Trump a venire in Italia, per un incontro tra Stati Uniti ed Europa. A settembre, il Presidente Usa sarà a Londra, dove ci tiene a incontrare Re Carlo. Possibile far combaciare le due missioni? Meloni non ha raggiunto un accordo sui dazi. Ma la critica è pretestuosa. Davvero ci si illudeva che potesse essere così facile? Ha però portato Trump e Vance a cambiare linguaggio. I due sono passati dall’«Europa ci ha fottuto», il primo, e “gli europei sono dei parassiti”, il secondo, alla conferma di «importanti negoziati commerciali non solo tra l’Italia e gli Stati Uniti, ma con l’intera Unione Europea». Parole del vice Presidente Usa.

Una trattativa che Roma ha portato avanti tenendo aggiornata Bruxelles. “Con una buona telefonata”, ha detto la portavoce di Ursula von der Leyen. L’Italia ha giocato d’astuzia. Non dire nulla sarebbe stato uno sgarbo a conferma delle perplessità mai spente in Ue nei nostri riguardi. E comunque da solo, un qualunque membro dell’Ue non va da nessuna parte. Siamo lontanissimi dalla mission accomplished. Però la premier italiana ha fatto da tagliafuoco alla gragnuola di polemiche, insulti e ingiurie che, dal 20 gennaio in avanti, sono partite da Washington contro il Vecchio continente. All’estero glielo riconoscono gli avversari. El Mundo in Spagna, testata non squisitamente conservatrice, le riconosce il ruolo di negoziatrice non ufficiale dell’Unione europea. Il Daily Telegraph mette l’Italia a fianco del Regno Unito come interlocutore positivo con Washington.

Prossimi passi, quindi? Tenendo a mente che tutto va fatto passare come un made in Europe e non un made in Italy e ricordandosi pure che Trump resta Trump, al governo italiano potrebbe tornare utile un’operazione congiunta proprio con Londra. Che non è Ue, ma sta da questa parte dell’Atlantico. Un avvicinamento con Downing Street che metta progressivamente in ombra Macron, la cui intransigenza non ha portato a grandi risultati. Nel frattempo sarebbe opportuno rinsaldare il dialogo con Berlino. I dazi per la Germania sono guai come per noi. La nostra industria e quella tedesca sono inseparabili. Merz coltiva l’idea di un’Europa di nuovo a trazione tedesca. Roma+Berlino+Londra. Ha un senso.