La valutazione dei risultati di un’elezione si concentra generalmente nell’individuare vincitori e perdenti anche attraverso raffronti utili, solo per esaltare o limitare le cause del successo o dell’insuccesso. Si perde spesso, invece, l’occasione per leggere i comportamenti elettorali e verificare l’effettiva efficacia delle varie proposte politiche. Ad esempio potrebbe essere interessante indagare la consistenza del cosiddetto “voto d’opinione” e le direzioni in cui si orientato. Per molti, a cominciare dagli esperti della comunicazione, il voto d’opinione è quello determinato soprattutto dalla capacità dell’offerta politica di cogliere il “sentimento del giorno” o le pulsioni nascoste dell’elettorato. Un modo, però, che si presta facilmente a coprire le carenze di progetti e visioni strategiche di gran parte dei politici italiani che si dedicano così alla ricerca di episodi, simboli e personaggi utili per l’occasione.

L’esempio delle europee

Semplicisticamente, si ritiene che l’astensionismo è anche il rifugio di chi esprimeva un voto d’opinione; è vero ma ciò non esclude che questa tipologia di elettori continua ad andare a votare. Soprattutto nelle elezioni europee si riteneva particolarmente influente il voto d’opinione in quanto, sotto certi aspetti, “libero” dalla rigidità degli schieramenti di parte e dalle pressioni dei candidati. Nel tempo hanno perso questa caratteristica e anche in questa tornata elettorale le questioni comunitarie sono state sopraffatte da quelle “locali”, trasformando la competizione elettorale nell’ennesima verifica del livello del proprio consenso e dei cartelli elettorali in essere o da costruire. La distorsione del significato delle elezioni europee, inoltre, è stata accentuata dalla massiccia incidenza del voto organizzato finalizzato a raccogliere voti di preferenza, da farli pesare anche nei rapporti interni ai singoli partiti.

L’indagine utile

Malgrado questi aspetti negativi, il bacino del voto d’opinione dovrebbe risultare comunque consistente andando a verificare alcuni dati, a cominciare dal numero dei voti senza indicazione della preferenza. Così pure una parte significativa sta nei voti delle liste che non hanno superato la soglia di sbarramento del 4%, in quanto i risultati non sono stati determinati da consolidate macchine elettorali e dalla presenza di candidati particolarmente attrattivi. E sotto certi aspetti nelle stesse straordinarie performance di alcuni candidati, da Vannacci a Strada e da Lucano a Salis, è possibile intravedere il consistente effetto di un voto d’opinione. Non è da escludere, infine, che nel successo personale di Giorgia Meloni ci sia anche tale componente. È utile perciò indagare il fenomeno perché consentirebbe di dimensionare e qualificare quella parte dell’elettorato italiano, definito “fluido”, che ha sempre determinato l’esito di una competizione elettorale all’interno di un quadro sostanzialmente stabile dei rapporti di forza tra la destra e la sinistra.

La centralità della politica

Il voto d’opinione non ha mai una preferenza politica univoca e dovrebbe essere quella parte dell’elettorato più sensibile ai “grandi” temi, che hanno più concretezza di quanto si possa immaginare. La “politica” – per lo meno quella italiana – è sostanzialmente sfuggente ed evasiva perché relegata nella gestione degli effetti dei processi economici e tecnologici, incapace di essere protagonista concorrente delle trasformazioni e delle innovazioni. Non si tratta di invocare la centralità della politica, ma di ritrovare la necessaria autonomia culturale; diversamente rimane “casta” tutelata da poteri e soggetti interessati e impegnata solo ad autoconservarsi nella gestione delle “cose piccole”.

In Italia – per chi ha memoria politica – il voto d’opinione è stato ben altro e si esprimeva principalmente attraverso alcuni partiti, quelli dell’area laica-riformista, composta da socialisti, socialdemocratici, repubblicani e liberali. Ha rappresentato circa il 25% dell’elettorato italiano, malgrado l’ostilità dei conservatori e le derisioni della sinistra massimalista e comunista adagiata nello schematismo ideologico della divisione in classi della società. Un’area politica e culturale che, tra l’altro, ha alimentato e sostenuto le principali riforme economiche e sociali realizzate in Italia. La storica articolazione politica del riformismo italiano dovrebbe scoraggiare dall’azzardo di inseguire la costituzione di uno specifico partito, ma ripropone la necessità di un confronto e di un’elaborazione teorica che sappia leggere le innovazioni (cioè il processo continuo della modernità) nei suoi risvolti sociali affinché si allarghino le possibilità di controllo, di democrazia e di benessere diffuso.

Antimo Manzo

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