“Come faccio a stare tranquilla sapendo che mio marito si trova malato in carcere, in un ambiente a dir poco sfavorevole? Chiedo solo che venga operato subito e trasferito dove non corra rischi”. Non trattiene l’angoscia, Rosa, moglie di Nikolik Rade, 38enne di nazionalità serba.

“Mio marito ha sbagliato e sta scontando con la detenzione i suoi errori. Di recente è evaso dopo un permesso premio, ma dopo una latitanza di circa due mesi è stato ricondotto in cella. Da allora è stato preso di mira”. Non ha dubbi la signora Rosa, e lo stesso Rade, detenuto al regime del 14bis (sorveglianza particolare) nel carcere di Nuoro, le ha in più occasioni descritto il clima di avversione e ostilità che stava subendo in quel carcere, attriti e tensioni culminati in concreti episodi di percosse, denunciate tanto dal detenuto quanto da Rosa, al commissariato di Melito di Napoli. A seguito delle denunce, il procuratore di Nuoro ha inviato i carabinieri nell’Istituto per accertare i fatti, constatando la presenza effettiva di lividi sul corpo di Rade.

“Sono pieno di lividi dalla testa ai piedi, mi hanno preso di mira, mi aspettano nel corridoio del passeggio, una zona senza telecamere, e in più di dieci mi hanno trattato come un sacco della spazzatura. Se non fosse stato per le proteste degli altri detenuti non mi avrebbero lasciato in pace”. E’ l’atroce resoconto che Rade avrebbe confessato durante una telefonata alla moglie. La versione della polizia penitenziaria parla invece di un incidente quale causa dei segni sul corpo: il detenuto si sarebbe rifiutato di rientrare in cella, e le lividure sarebbero apparse a seguito di una caduta avvenuta nella confusione di quel concitato momento. La ripetuta richiesta di visione delle registrazioni delle telecamere di videosorveglianza relative a quegli istanti da parte dei legali è tuttavia, ad oggi, rimasta inevasa.

La moglie di Nikolik è preoccupata prima di ogni altra cosa per la salute del marito. Ci parla di una situazione insostenibile: “Soffre di patologie per le quali è stata più volte dichiarata l’incompatibilità con gli ambienti del carcere di Nuoro, un carcere con i bagni turchi laddove lui avrebbe estrema necessità di un bagno tradizionale, più adatto alle sue esigenze di salute. Inoltre, nonostante numerosi referti abbiano attestato la necessità di un’operazione chirurgica urgente, non solo le richieste di avvicinamento non sono state ascoltate, ma non si è provveduto nemmeno a cercare un’altra opzione, non necessariamente più vicina, nonostante per la legge un detenuto non dovrebbe stare a più di 200 chilometri dalla famiglia”.

L’interesse per la salute del detenuto sembra passare troppo spesso in secondo piano in questa storia, fino al colmo: “La settimana scorsa, in trasferimento a Nuoro da Secondigliano, dove era provvisoriamente per impegni processuali, è stato reinserito nello stesso carcere dove ha subito le percosse, e per di più senza essere sottoposto a tampone”. Rosa ha poi tempestivamente avvisato il carcere di Nuoro di essere risultata positiva al Covid, ad appena quattro giorni dall’ultimo colloquio con il marito. Solo a seguito di questa segnalazione Rade riceverà il tampone. Per quanto riguarda l’operazione urgente necessaria alla sua salute, nonostante le unanimi indicazioni mediche ricevute, nel tempo, da Poggioreale, Secondigliano e Nuoro, ancora nulla si è mosso.

Il trasferimento in un carcere più vicino verrebbe incontro alle esigenze di una famiglia con gravi problemi di mobilità (il figlio di Rosa è malato e necessita di numerose terapie), ma la priorità, per Rosa, resta la garanzia di sapere il marito in un ambiente non ostile, dove possa ricevere le cure adeguate al suo caso, messe ripetutamente a repentaglio dall’impossibilità di accedere alle operazioni chirurgiche richieste, e vanificate da un clima violento e ritorsivo che al danno fisico aggiunge un reiterato trauma psicologico.

Rosa denuncia inoltre di aver ricevuto numerose lettere, provenienti da Nuoro, contenenti frasi offensive e intimidazioni. Certa che non si tratti della grafia del marito – tra l’altro sottoposto al visto censura sulle conversazioni – ha denunciato anche questo episodio, richiedendo inoltre una perizia calligrafica ad oggi non ancora concessa. I tentativi del marito di denunciare gli abusi tramite lettere, sono stati infine vanificati da evidenti manomissioni e ricalchi della scrittura che hanno reso le missive illeggibili.

Con il diffondersi dell’epidemia di Coronavirus si sta scrivendo un’altra pagina nera nella storia delle carceri in Italia. Nell’anno delle rivolte e delle numerose denunce di maltrattamenti e violenze, si contano, ad oggi, già 44 suicidi negli istituti di pena, di cui 8 persone solo nella regione Campania, come di recente riportato dal Garante Regionale per i Detenuti Samuele Ciambriello in Occasione della Conferenza nazionale dei Garanti. Per quanto riguarda la tutela della salute e dei malati – covid e non covid – negli istituti di pena, si preannuncia un altro anno da dimenticare, tra contagi che aumentano esponenzialmente e malati “ordinari” lasciati a loro stessi, spesso senza la garanzia di un consono distanziamento anticontagio: “bisogna accostare alla certezza della pena un’altra certezza, altrettanto cruciale, e cioè la garanzia di una pena di qualità, che tenga sempre aperti gli occhi sui diritti inviolabili delle persone private della libertà, tra cui il diritto ad essere curati. Alla persona che sbaglia va tolto il diritto alla libertà, ma non quello alla dignità”.