Un risarcimento record per il disastro nucleare di Fukushima. Una sentenza pronunciata dalla Corte distrettuale di Tokyo ha giudicato colpevole la Tepco, l’operatore Tokyo Electric Power, per non essere stato in grado di prevenire la catastrofe del marzo 2011, ordinando un rimborso record di 13.000 miliardi di yen, l’equivalente di 94,6 miliardi di euro.

Secondo la sentenza a pagare dovranno essere quattro dirigenti della Tepco, che dovranno rimborsare l’operatore per le perdite economiche subite a seguito dell’incidente nucleare dell’11 marzo 2011 all’impianto di Naraha, nella Prefettura di Fukushima, sulla costa est del Giappone, tra costi di smantellamento e risarcimenti ai residenti locali costretti ad evacuare l’area.

Il processo, spiega l’Ansa, si concentrava sul livello di affidabilità di una valutazione delle attività sismiche nell’area eseguita da una commissione governativa nel 2002, nove anni prima dell’incidente. Gli azionisti ritengono che la valutazione fosse credibile e che i gestori avrebbero dovuto fare di più per salvaguardare l’impianto da un enorme tsunami che era lecito attendersi. Gli ex dirigenti, invece, affermavano che la valutazione non fosse attendibile, quindi non potevano prevedere i danni di uno tsunami di quella portata, e che non ci fosse comunque il tempo di adottare le misure preventive necessarie.

L’incidente di Fukushima

Quello di Fukushima è stato il più grave incidente nucleare dopo il disastro di Chernobyl del 1986, l’unico assieme a quello avvenuto nell’ex Unione Sovietica ad essere classificato come livello 7 della scala INES, cioè il livello di gravità massima degli incidenti nucleari.

A causare la perdita di radiazioni e multiple esplosioni furono il terremoto e il successivo tsunami del Tohoku dell’11 marzo 2011. Con la scossa il sistema si sicurezza antisismico della centrale si attivò automaticamente spegnendo tutti i reattori dell’impianto: reattori che, ovviamente, necessitavano ancora del raffreddamento per dissipare il calore generato dalle reazioni nucleari residue, normalmente persistenti per un periodo di alcuni giorni.

Senza l’elettricità dei reattori, si attivarono i generatori elettrici di emergenza, alimentati a diesel e presenti a questo scopo nell’edificio di ciascun reattore. Qui sorse il problema che provocò il disastro: a quaranta minuti circa dallo spegnimento automatico, l’onda dello tsunami provocata dal forte terremoto superò le barriere anti-maremoto dell’impianto di Fukushima distruggendo i generatori di emergenza che alimentavano i sistemi di raffreddamento dei reattori 1, 2 e 3, e anche la linea elettrica ad alta tensione che li collegava ai reattori 5 e 6.

Una situazione drammatica che causò il black-out elettrico e il blocco dei sistemi di raffreddamento nei primi tre reattori della centrale e successivamente la perdita di controllo dei primi tre reattori, che andarono in meltdown con la fusione del nocciolo.

Nelle ore e nei giorni successivi nella centrale si verificarono quattro esplosioni causate da fughe di idrogeno, alcune delle quali distrussero le strutture superiori degli edifici di due reattori. Le autorità giapponesi ordinarono quindi l’evacuazione dei residenti entro un raggio di 20 chilometri, coinvolgendo oltre 150mila persone.

A differenza di quanto accaduto a Chernobyl, nell’incidente di Fukushima non vi fu un incendio con immissione di grandi quantità di radionuclidi nell’atmosfera, ma un rilascio di elementi radioattivi nell’oceano.

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Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.