Il mare è un insieme di puntini azzurri. Sugli scogli salta flessuosa una figura che perde sangue tra le gambe, è mestruo. La scena si ferma su un profilo dallo sguardo fiero, la donna scopre un naso appuntito e zanne in vista. Sembra un essere mitologico: metà donna, metà lupo. È un tratto continuo e minimale di matita nera ad accogliere questa creatura allo stato brado e ad aprire il secondo graphic novel di ZUZU (pseudonimo di Giulia Spagnulo), Giorni felici, edito da Coconino Press, dopo il folgorante esordio di Cheese, Premio Gran Guinigi nel 2019. Le ansie, i complessi sulla percezione della propria immagine negli anni della crudele adolescenza, le asimmetrie dei corpi sfigurati dai disturbi alimentari di Cheese – che ricordano nella violenza dei tratti i giovani reietti di Black Hole, il fumetto cult di Charles Burns – lasciano ora la scena alle mutevolezze di una donna dal viso luciferino, trasfigurata da ZUZU in un angelo femminista che, ricoperta di sangue, aggredisce gli uomini che la molestano.

I Giorni felici di Claudia trascorrono nell’impeto di due amori tirannici, vissuti nell’età della formazione di una personalità incline agli impulsi più ferini e ai sogni di diventare un’attrice. Nella proliferazione delle splash page, tavole grandi di una sola pagina, al ritmo irregolare scandito da tre, sei, fino a dodici vignette, imbevute di musica e di colori a tratti psichedelici, i personaggi si muovono con una leggerezza aerea, soffrono sulla terra ma non temono il vento. E poi, si alzano in volo, planando sulla città come gli innamorati di Chagall. Il titolo richiama l’omonimo dramma in due atti di Samuel Beckett, l’apice del progetto di svuotamento delle strutture espressive del teatro mediante l’inazione, per testimoniare l’insensatezza di un’esistenza esperita su una terra troppo stretta: «Se solo avessi il coraggio di star sola, voglio dire di muovere la lingua senza un’anima che mi stia a sentire», sospira Winnie. Se in Beckett, l’umanità ha perso la capacità di esprimersi nel dialogo con sé stessa e rimane come sospesa fra due stati di coscienza, nell’attrito tra lo sforzo di vivere e la vanità della vita, le tavole completamente nere e i dialoghi con le pietre silenti nei Giorni felici di ZUZU ritraggono quella posizione assoluta degli uomini e delle donne di fronte al vuoto che li comprende.

Sei l’autrice più giovane mai pubblicata da Coconino, acclamata dal pubblico e considerata dalla critica come l’erede di Gipi. Insieme a Fumettribrutti rappresentate le autrici della generazione Z. Ti riconosci nell’etichetta di “autrice generazionale”?
Non so cosa faccia di un autore un autore generazionale, non me lo sono mai chiesta. Le uniche informazioni che ho per valutarmi derivano da chi mi legge. Ho avuto lettori di età molto diverse: quelli della mia generazione, è vero, sono più curiosi e hanno meno pregiudizi sul fumetto, però ho visto persone molto più grandi di me, sessantenni che avevano letto commossi Cheese e che si sono sentiti raccontati. Dunque, non credo che sia necessariamente qualcosa legato alla generazione.

Pensavo invece ad Andrea Pazienza, cantore della generazione del ’77 bolognese, al centro di un rivolgimento storico, e quindi al racconto in presa diretta di un imperversare della violenza. Quale credi sia lo spirito letterario del vostro tempo?
Ciò che unisce tutto quello che nasce adesso è sicuramente il racconto dei nostri disagi e un’attenzione particolare è riservata all’equità e ai generi. Ma credo che il fil rouge sia dato dal linguaggio stesso del fumetto, più che dal momento storico. Il fumetto è un lavoro solitario, per il quale si ha molto tempo per pensare. Il tempo che si impiega su una vignetta è maggiore di quello che ci mette un fotografo a scattare una foto o uno scrittore a scrivere una parola. Questo porta un, una fumettista a riflettere molto di più su sé stesso, sé stessa.

Come Winnie dei “Giorni felici” di Beckett, Claudia dei tuoi “Giorni felici” vive la costante sensazione di «essere risucchiata in su», sente che «un giorno la terra cederà e la lascerà andare», ma «tutto dipende dal tipo di creatura che sei». Che tipo di creatura è Claudia?
Claudia è una creatura gentile, estremamente vitale, capace di riconoscere vita anche dove gli altri non la vedono: negli oggetti, nei fatti, nelle pietre, nella natura. Queste sono doti che non vive con facilità, è spaventata dalla sua empatia, dall’istintività che la porta a vivere le sue emozioni in maniera così intensa da trasformarsi in una piccola bestia. Quando ho letto Giorni felici di Beckett è stato come se Winnie me la presentasse. Claudia era già lì nella mia testa, sapevo che non viveva bene la sua emotività, però non riuscivo a delinearla. Mi era chiaro il fortissimo contrasto tra le due donne: Winnie è una donna bloccata, immersa nella sabbia, che non ha molte possibilità di cambiamento e si accontenta di quel poco che ha nella sua borsa per scandire le giornate. E poi c’è Claudia che, pur avendo tutte le possibilità davanti a sé, si sente altrettanto bloccata. Impiegherà un libro intero per scoprire che proprio questa sua tensione verso l’alto le permetterà di volare!

Nei tuoi fumetti ricorre uno sguardo insistente sul corpo. In “Cheese”, si trattava del corpo ripudiato dall’adolescenza, uno studio sul ventre, inteso come luogo di tensione e di dolore. In “Giorni felici”, ho notato invece una maggiore attenzione alle mutazioni del corpo. Da dove cominci per disegnare un personaggio?
Una delle grandi doti del linguaggio fumetto è quella per cui i corpi possono essere manomessi, trasformati continuamente. Per questo, posso usare il corpo per raccontare quello che voglio, come se questo diventasse parola. Anzi, posso usare meno parole e più potenzialità del corpo. Attraverso l’aggiunta di un’ala posso dire qualcosa in più di quello che il mio personaggio sta provando in quel momento. Il corpo è per me lo spazio di manovra, lo spazio che una persona occupa nel mondo. In Cheese, era tutto un arrovellarsi verso l’interno; in Giorni felici il corpo si allunga in un movimento verso l’esterno, ha nuovi strumenti per muoversi, è selvaggio, selvatico e richiama la natura istintiva di Claudia. Quando inizio a disegnare i miei personaggi parto sempre dal naso. La ragione è più personale che una scelta artistica. Ho avuto una piccola crisi esistenziale da piccola perché ero convinta di aver un nasino all’insù, ho poi scoperto invece di avere un naso che ha una sua personalità.

Come Vitangelo Moscarda!
Esatto (ride). Ancor prima di aver letto il libro, mi sono chiesta: ma se io so così poco del mio naso, allora so pochissimo di tutto il resto che mi appartiene. Ho un modo di percepire me stessa diverso rispetto a come mi percepiscono gli altri. Il naso è stata quindi la prima cosa che ho osservato nelle persone per tanti anni.

La violenza di alcune tavole completamente nere, lo stupro, l’aggressione fisica e l’autolesionismo fanno da contrappeso allo stile delicato del pastello, solo apparentemente accogliente, infantile. Cosa c’è dietro questa continua tensione?
In Giorni felici, ho cercato di rendere questa tensione ragionando su un ritmo molto realistico, che cambia in base a quello che sta vivendo il personaggio. Ho cercato poi di disegnare il mondo come lo vedrebbe Claudia, con occhi belli, semplici, capaci di vedere tutti i colori. Ma non è stato un fumetto facile da disegnare e da scrivere, era angosciante. Avere un fumetto che mi ricordasse come disegnavo quando ero piccola, con quel modo naïf di colorare, è stato uno stratagemma per sentirmi più tranquilla mentre parlavo di cose che non mi tranquillizzavano affatto.

Ti piacerebbe un giorno ideare una serie tv sullo stile di “Strappare lungo i bordi” di Zerocalcare?
Sono molto legata al fumetto e di questo apprezzo proprio la sua staticità. Zerocalcare aveva già un linguaggio molto animato, come se i suoi fumetti avessero già vita. Il suo è stato un esperimento venuto benissimo per la sua capacità di passare da un mezzo all’altro con naturalezza. Ho visto che la sua voce era la stessa, il mezzo non l’ha divorato. Quanto a me, forse un giorno mi piacerà cambiare proprio strumento. Magari fare un film.