Non si può negare dignità artistica e, già che ci siamo, letteraria, narrativa, epica a Yellow Kid, Crazy Kat, perfino ad Arcibaldo e Petronilla, per non parlare addirittura di Braccio di Ferro. Che immenso avvilimento dover ribadire quanto il fumetto, l’illustrazione, fino alla più recente graphic-novel, siano “arte”. A tutti gli effetti ar-te! Chiarito che, come recita lo studioso di estetica Dino Formaggio: «Tutto ciò che gli uomini scelgono di chiamare con questo nome può dirsi arte». Punto. Di fronte alla tribolata storia del museo-contenitore in bilico di sussistenza, attivo dal 2011 nei suoi 1250 metri quadri, “Wow Spazio Fumetto di Milano”, verrebbe quasi voglia di risvegliare dal sonno ormai eterno Umberto Eco e Oreste del Buono, proprio loro che il sacro fuoco cartaceo del fumetto e dell’illustrazione condussero fin dentro il regno delle più prestigiose collane editoriali, spiegando, nero su bianco, che il fumetto dovesse essere innalzato accanto alle maiuscole della letteratura. E basta con l’idea delle rispettabili pratiche alte contrapposte alle neglette pratiche basse, sempre in lotta fra loro sotto il ritratto austero di Benedetto Croce e dei suoi discepoli riottosi davanti al nuovo!

Dicendo così, nel nostro sventurato Paese, assente a una vera memoria viva museale, viene d’obbligo in mente la copertina del primo numero di Linus, che nella microstoria editoriale nazionale rappresenta un traguardo, anzi, volendo usare una metafora peculiare, brilla accanto al primo centesimo di Paperon de’ Paperoni, l’inizio del plusvalore del fumetto stesso. Nel pronunciare così, torna altrettanto alla memoria l’opera di Giovanni Gandini, che di Linus è stato il fondatore, Gandini che portò i Peanuts qui da noi. Edito dalla casa editrice Milano Libri, Linus aprì altrettanto alla controcultura americana, facendo dono al mondo della conoscenza poetica di molte gemme, da Copi a Guido Crepax con la sua Valentina. Per non dire di Hugo Pratt con il suo marinaio…

E stavamo per dimenticare l’attenzione al tema posta da Elio Vittorini. Un attimo appena, ed ecco ancora tornare in mente l’immagine delle edicole e perfino dell’antro buio dove c’era modo di scambiare, un tempo, i fumetti, perfino usati da acquistare, luoghi magici, scrigni, di più, degni della lampada di Aladino che, improvvisamente sfregata, sprigiona l’intera sfilata magica dei suoi geni. Topolino, certo, accompagnato dal resto della comitiva di Walt Disney, e, s’intende, il già menzionato Schulz con i Peanuts al gran completo, Charlie Brown, Lucy, Snoopy e Woodstock in fila ordinata, loro che in un certo senso rappresentano la cupola filosofica del fumetto, Hegel spiegato all’infanzia… Poi il candore di Mafalda, disegnata da quel Quino scomparso da poco… Certo, l’Italia non è la Francia, lassù, nell’Esagono, lo scaffale dedicato alla BD, “band dessinée”, è immenso e vede subito troneggiare Tintin con il suo Milou, il capitano Haddock.

Ricordo ancora gli anni in cui, proprio sulle pagine di Linus, aveva luogo un dibattito politico, già, per molti il poliziotto Dick Tracy non meritava spazio, addirittura lo si accusava d’essere “fascista”, un emulo della caccia alle streghe del maccartismo; eppure stiamo parlando dell’eroe, il nemico pubblico numero uno d’ogni criminale, da Flattop a Joe Period, disegnato da Chester Gould con una tale meticolosità da meritare un posto a sedere accanto ai romanzi di Dashiell Hammett e di Raymond Chandler. Ora che ci penso, anche sul genere poliziesco era stato detto ogni male, quasi si trattasse di un genere minore, libricini da acquistare nelle edicole delle stazioni, come semplice lettura di viaggio, prendi e vai, cultura portatile, mordi e fuggi, e invece, pensa, i fumetti, così come l’intera iconosfera illustrata, ora si sa, rappresentano una parte integrante del paese di letteratura, così come, citando Borges, la teologia va ritenuta parte cospicua della letteratura fantastica.

Che noia dover ribadire tutto questo, che noia dover fare i conti con le categorie dell’improprio, che noia dover sognare di risvegliare dal loro sonno eterno Umberto Eco e Oreste del Buono, e insieme a loro, già che ci siamo, Mandrake, Corto Maltese, Wolinski, Lauzier con il suo capolavoro intitolato “La corsa del topo”, e ovviamente Topolino, Tarzan, Flash Gordon, Dylan Dog, Fritz Il Gatto, Zagor, Hergé, e infine Jacovitti che dell’arte del fumetto può essere considerato alla stregua di Hieronymus Bosch.

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Fulvio Abbate è nato nel 1956 e vive a Roma. Scrittore, tra i suoi romanzi “Zero maggio a Palermo” (1990), “Oggi è un secolo” (1992), “Dopo l’estate” (1995), “Teledurruti” (2002), “Quando è la rivoluzione” (2008), “Intanto anche dicembre è passato” (2013), "La peste nuova" (2020). E ancora, tra l'altro, ha pubblicato, “Il ministro anarchico” (2004), “Sul conformismo di sinistra” (2005), “Roma vista controvento” (2015), “LOve. Discorso generale sull'amore” (2018), "Quando c'era Pasolini" (2022). Nel 2013 ha ricevuto il Premio della satira politica di Forte dei Marmi. Teledurruti è il suo canale su YouTube. Il suo profilo Twitter @fulvioabbate