«Quello che vedrete nella quinta stagione sarà un viaggio che porterà ognuno dei personaggi a raccontare l’amore a modo suo». Queste le parole di Salvatore Esposito nel descrivere ciò che dobbiamo aspettarci dalla quinta e conclusiva stagione di Gomorra – La serie che lo vede interpretare il boss, ora latitante, Genny Savastano. Dal 19 novembre su Sky Atlantic e in streaming su Now Tv, il suo personaggio si rincontrerà con l’amico fraterno Ciro L’Immortale, un Marco D’Amore di ritorno anche in qualità di regista. I fan della serie e chi ha amato il film di collegamento tra la quarta e la quinta stagione, l’opera prima di D’Amore, L’immortale, sapranno che il capitolo finale avrà inevitabilmente come tema portante la resa dei conti del rapporto d’amore e odio tra Ciro e Genny.

È proprio sull’evoluzione della relazione tra questi due personaggi che Marco D’Amore parte per presentarci l’ultima avventura: «Inizia tutto dalla terza stagione, da quella eresia che finisce con un’immagine emblematica, lo sguardo in lontananza che non arriva a compiersi e lascia allo spettatore la domanda: che faranno, si abbracceranno, si uniranno? Ci sarà una contesa? È da lì che siamo partiti per costruire il progetto. È evidente che il rapporto tra Genny e Ciro è sfuggito dalle mani – sottolinea – a chi ha scritto Gomorra perché il nostro percorso non era assolutamente questo, ma succede come nell’amore che scatta una chimica che è inspiegabile». «Stefano Sollima – continua D’Amore – aveva colto quest’aspetto. Con Stefano Bises hanno cominciato a guardare il girato, hanno detto: “ma tra ‘sti due c’è qualcosa che va al di là della rappresentazione dei personaggi”».

A pochi giorni dall’inizio della fine di Gomorra e considerando la longevità a volte forzata di moltissime altre serie, la domanda che tutti si pongono è: doveva finire qui? Risponde Claudio Cupellini che si alterna alla regia con D’Amore: «Va sottolineato che è successa una cosa che raramente succede, soprattutto in Italia, il saper uscire di scena in un momento in cui la serie non è arrivata a trascinarsi. Raggiunto l’apice, non racconteremo una discesa che sarebbe stata una conclusione stanca, con innesto di personaggi senza impatto. Certo, il territorio di Napoli è molto ricco ma l’epopea Gomorra aveva fatto il suo percorso». Serie tv tra le più internazionali che abbiamo, amata in tutto il mondo e nata da un’idea di Roberto Saviano sulla scia del film di Matteo Garrone, Gomorra negli anni ha generato un modello seriale, creato un linguaggio e indotto tantissimi tentativi di emulazione. Salvatore Esposito parla di “sentimenti gomorriani”: «Le relazioni in Gomorra sono fondamentali e dal mio punto vista sono quelle che hanno fatto la differenza. L’amore, l’odio, la fratellanza, tutto ciò che riguarda i sentimenti normali in Gomorra cambia, perché tutto quello che li attraversa è falsato.

Probabilmente Ciro e Genny in un altro contesto sarebbero stati migliori amici e lui e Azzurra (Ivana Lotito) felici per sempre. Tutto è falsato dall’occhio di Gomorra perché noi raccontiamo un universo, un mondo che esula dalle leggi naturali e che, per quanto possa sembrare assurdo, li porta in una dimensione altra». Senza rischio di spoiler possiamo anticipare che la quinta stagione si caratterizza per un ritorno alle origini, non solo narrativo ma stilistico e registico. Lo conferma Marco D’Amore: «Io credo che Sollima e Carnera abbiano scritto una nuova visione di racconto e noi abbiamo cercato di riportare i personaggi in penombra, sperando che i protagonisti avessero un po’ di capacità di ritrovare le proprie fragilità». A fine percorso, quali sono i sentimenti che dominano i protagonisti di Gomorra? «Rispetto al finale, mi sento in pace – dichiara D’Amore – non provo malinconie. Ho dato tutto umanamente e artisticamente, ho guadagnato rapporti che porterò con me perché voglio continuare a lavorare con queste donne e uomini». «Un viaggio lungo 8 anni e 5 stagioni – prosegue Esposito: sarà un’esperienza che ci porteremo dentro per tantissimo tempo e sicuramente possiamo dire che c’è stato un prima e dopo Gomorra: quello che abbiamo fatto sarà riconosciuto anche nel futuro».

Negli anni non sono mancate le critiche alla serie, soprattutto da parte di personalità pubbliche che, a periodi alterni, hanno accusato Gomorra di mostrare solo un lato di Napoli o di sporcarne e falsarne l’immagine. Ora che stiamo per giungere alla fine di un’era, l’ultima parola va ai protagonisti: «Tutte le critiche che son state mosse sono solo pretestuose da parte di chi effettivamente ignora la serie stessa. È da ignoranti identificare Gomorra con Napoli perché la serie è una grande metafora universale e potrebbe essere girata ovunque. Fuori dall’Italia siamo osannati» afferma Salvatore Esposito. «Per me l’esercizio della critica è parte fondante della democrazia» – aggiunge D’Amore che precisa: «Mi aspettavo di più dalle critiche affinché partisse un confronto dialettico: non siamo ragazzi di strada e siamo capaci di parlare italiano. Mi sembra che queste critiche siano poco fondate e che non siano nate da uno studio del territorio. Questo dispiace perché a volte le critiche sono arrivate da chi è meritevole di stima ma poco hanno a che fare con la realtà. Napoli è un caleidoscopio, impossibile da raccontare ma è anche quello che si vede in Gomorra. Chiudo con una citazione: nel ‘73 già Eduardo De Filippo con Il Sindaco del Rione Sanità era stato boicottato perché dicevano che parlava male della città».