La vicenda
L’asse tra Stato e parti sociali, cosa insegna il caso Blutec: il fine è salvaguardare lavoratori e impresa, pilastri della società
La vicenda Blutec – che si è conclusa felicemente con un accordo e operazioni societarie organizzative e assistenziali, in grado di assicurare la migliore soluzione a una crisi – ci deve fare riflettere. Troppo semplice archiviare il tutto con “storia di successo”. Ho sempre pensato che le riflessioni dovessero riguardare le ragioni dei fallimenti. Ho sempre pensato si dovessero indagare gli errori, le fragilità, le idee, le chiusure, le rigidità, le forzature, le incomprensioni che hanno portato molto spesso a un finale tragico e socialmente inaccettabile.
In oltre 30 anni di carriera ho gestito centinaia di riorganizzazioni e crisi aziendali partendo dai terribili anni ‘90. In questi anni ho assistito al susseguirsi di governi e operazioni legislative ordinarie e straordinarie; all’evoluzione della normativa sempre più invasiva della Comunità europea; all’introduzione di strumenti/ammortizzatori sociali. Orbene, nessuna norma, nessun ammortizzatore sociale, ha mai dato vita a una “soluzione”. La sopravvivenza di un’impresa, la salvaguardia dell’occupazione, il cambiamento e progresso professionale, è stato sempre il risultato di un processo di condivisione. Certamente. La “soluzione” è stata trovata solo quando le parti sociali hanno reciprocamente abbandonato posizioni rigide, allontanando un’idea puramente “economica” della vita sociale, declinato l’ideologia pura e semplice e insieme hanno cercato una “soluzione”. Quando parlo di “soluzione” ovviamente mi riferisco a progetti di sviluppo e mantenimento dell’impresa e dell’occupazione, non ai grandi “incentivi” all’esodo.
Se poi al fianco delle parti sociali si trovano le istituzioni – che molto spesso, occorre dirlo, non ci sono state – il gioco è fatto. Lo “Stato” ritorna, si palesa e diventa attore principale e vincente. Non c’è alternativa. Quando ciò non accade, quando lo Stato è assente o – peggio – si schiera senza una visione del futuro e agisce solo come “politico”, questo risultato non si raggiunge. Quanto le OO.SS. interpretano un ruolo che non è il loro e quando l’imprenditore non si rende conto del ruolo sociale dell’impresa, questo risultato non si ottiene. Quando vi sono risultati come questo, i professionisti diventano garanti della legalità delle azioni poste in essere. Conosco bene la vicenda de qua, era gestita dal mio Studio, LabLaw, fino a pochi mesi fa e sono felice che gli avvocati Bonanni e Paone abbiano potuto partecipare alla conclusione di essa.
Non vi è dubbio sul “valore” in sé della professione del giuslavorista, ma non possiamo immaginare nemmeno all’orizzonte di trovare soluzioni adeguate alle crisi da affrontare se le parti sociali e le istituzioni dovessero abbandonare il cosiddetto “tavolo”, se dovessero ancora contrapporsi in una lotta che non è la loro. Le parti sociali e lo Stato devono dialogare, trattare, litigare ma con l’unico fine della salvaguardia dei lavoratori e dell’impresa, ovvero di quegli elementi e pilastri della nostra società civile.
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