Bologna, 29 novembre, “Stati generali della ripartenza” (sic!) del M5S, Giuseppe Conte: “Se fossi stato al governo avrei tartassato Putin di telefonate per farlo sedere a un tavolo, per convincerlo nel suo interesse a recuperare un ruolo nella comunità internazionale e rinunciare al folle scontro”. Il video della sua dichiarazione diventa virale. L’episodio, al di là dei suoi aspetti umoristici, rivela solo il narcisismo incontrollato di un leader politico? C’è qualcosa di più. E, per spiegarlo, mi sia consentita una digressione letteraria.

Nell’agosto del 1874, cominciando a scrivere l’odissea dei due copisti Bouvard e Péchuchet, Gustave Flaubert si era proposto di redigere l’inventario della stupidità umana, un tema che lo ossessionava fin dalla giovinezza. Tuttavia, nonostante la mole enorme degli esempi che aveva pazientemente raccolto nel corso della sua vita, non riuscì mai a redigere una enciclopedia ragionata della “bétise” (idiozia) né a completare il suo “Dictionnaire des idées reçues” (“Dizionario dei luoghi comuni”). Dagli appunti che ha lasciato se ne è però ricavata una versione abbastanza estesa, in alcune edizioni pubblicata insieme a due testi: un breve quanto ironico “Album de la Marquise” e un paio di pagine del “Catalogue des idées chic”. Come scrive Rodolfo Wilcock nella prefazione al “Dizionario” edito da Adelphi, “durante tutta la vita di Flaubert l’immagine della Stupidità, sotto la possente spinta dei tempi, si era continuamente dilatata dinnanzi a i suoi occhi: non più soltanto attributo inestirpabile della specie umana, ma Potenza Cosmica, l’etere che avvolgeva qualsiasi parola fosse pronunciata, le chiacchiere della comare e le relazioni dell’accademico, gli appelli del politico e le sentenze del farmacista, le similitudini dei lirici e i protocolli degli scienziati”.

Ma chi erano Bouvard e Pecuchet? Due copisti che, ritiratisi in campagna grazie a un lascito testamentario, sondano gli innumerevoli campi dello scibile umano, dalla botanica alla pedagogia, dalla chimica alla medicina, dalla geologia alla religione allo spiritismo; senza trascurare ovviamente la politica. Instancabili, continuano a copiare e a riempire pagine di scemenze per completare il grande monumento allo Sciocchezzaio. “Bouvard e Pechuchet” fu pubblicato, postumo e incompiuto, nel 1881. Non si salva nessuno in questo geniale romanzo filosofico.

La stupidità indigna Flaubert e al tempo stesso lo affascina. La sua grandezza è proprio quella di fare arte con un materiale così degradato, così ridicolo; di montare con quello un grande trattato sull’umana mediocrità. Come potrebbe fare uno scrittore che sapesse raccontare il tempo presente usando la spazzatura prodotta in quantità industriale dai media. In questo senso, Bouvard e Pechuchet sono i veri precursori del nostro tempo, gli eroi trasversali della presunzione che, con la loro zavorra di pregiudizi inscalfibili, si affacciano imperturbabili sul moderno teatrino della politica.