Non è solo il Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza a indicarci l’urgenza di riformare il sistema di istruzione tecnica e professionale, lo sono soprattutto i dati e oltre 2 milioni di ragazze e ragazzi che non studiano e non lavorano (Istat). I neet, infatti, in Italia sono il 25,1% a fronte del 18,3% della Spagna e di Paesi come Svezia e Paesi Bassi dove sono al 7%. Dati che si affiancano al cosiddetto “mismatch”, la difficoltà di reperire tecnici specializzati nei settori della digitalizzazione, della transizione ecologica, dell’industria 4.0, del terziario, addetti alle trasformazioni alimentari, all’accoglienza turistica e alla ristorazione.

Secondo il rapporto di Unioncamere-Anpal, il “mismatch” ha raggiunto il 40% con punte fino al 60-70%. E si potrebbe continuare nel lungo elenco che ci restituisce un Paese in cui non si è voluto fare una vera e decisa scelta di campo, promuovendo la filiera professionalizzante come elemento strategico della formazione dei nostri giovani. Non basta una riforma del Pnrr. O meglio il Pnrr ci pone di fronte alla cruda realtà: è necessario ripensare i percorsi di istruzione e formazione tecnico-professionali con uno sguardo prospettico, che non si fermi al puro ritocco di ore di insegnamento e all’estensione di modelli, di cui non si è ancora vista l’efficacia né la ricaduta in termini di apprendimento. È necessario individuare misure che siano davvero innovative e che permettano realmente ai giovani di accedere al mercato del lavoro e restarvi, adattandosi ai continui e rapidi cambiamenti, sulla base di rinnovate competenze e saperi aggiornati.

La prima sfida del Pnrr, però, è quella di annodare le diverse riforme: la riforma degli istituti tecnici e professionali non può essere pensata senza uno stretto collegamento con la riforma, già approvata, degli Its, in una continuità che permette agli studenti di acquisire diversi livelli di specializzazione (Eqf) e quindi di immettersi nel mercato del lavoro e di rientrare nella formazione in modo flessibile. E il potenziamento della filiera professionalizzante – che in Germania chiamano sistema duale – non può prescindere dal raccordo con la riforma dell’orientamento. I licei sono i più scelti dalle famiglie e dagli studenti (56,6%), mentre gli Istituti Tecnici sono al 30,3% e i professionali al 12,7%, con forti divari territoriali e dimenticando l’Istruzione e Formazione Professionale delle Regioni. Orientare significa accompagnare le studentesse e gli studenti alla scoperta e alla scelta non solo di un percorso di studi, ma anche di vita, che consente di inserirsi pienamente nella vita economica, politica e sociale del nostro Paese.

Da ultimo la riforma della filiera tecnico-professionale non può prescindere dalla riforma della formazione del personale scolastico, che deve tener conto del bisogno che i docenti di materie tecniche si aggiornino con il supporto delle filiere produttive. Ora quel che spetta al governo Draghi, in questo scorcio di legislatura, è di raccordare le riforme e preparare la roadmap, in modo che nella prossima legislatura, nei molti Decreti ministeriali o Regolamenti attuativi, si possa davvero pensare a una buona scuola per un buon lavoro e per un buon futuro.