È di pochi giorni fa la notizia di un baby pusher 15enne fermato dalle forze dell’ordine a Scampia. Proprio in quel quartiere, Rosalba Rotondo è la preside dell’istituto comprensivo Ilaria Alpi-Carlo Levi. La Rotondo negli ultimi anni è stata promotrice di tante iniziative volte all’inclusione e all’integrazione sociale. Un esempio di istruzione che funziona, con laboratori, progetti e porte aperte anche nel pomeriggio per dare ai tanti ragazzi, spesso con un futuro segnato, un’altra opportunità. Ma la scuola da sola non può farcela. Così come non possono riuscirci le sole famiglie. Abbiamo chiesto alla preside Rotondo, cosa lo Stato può e deve fare per risolvere i grandi problemi della devianza giovanile e della dispersione scolastica.
Un 15enne a Scampia è stato fermato perché spacciava. Quanto queste situazioni sono ancora molto radicate nel quartiere?
«Fenomeni come lo spaccio, che persistono anche se con incidenza minore rispetto al passato, assumono connotazioni diverse perché diverse le cause e le concause. La disoccupazione, l’indigenza, ma anche la povertà valoriale che induce a credere che con il facile guadagno possa creare condizioni di parità. Ci sono anche ragazzi che diventano capofamiglia all’improvviso per ragioni che immaginiamo e devono darsi da fare per provvedere ai fratelli minori e vedono nella frequenza scolastica un privilegio che non possono permettersi, di cui è fuori luogo avvalersi. Spesso veniamo a sapere di tali azioni dai quotidiani, invece la prima ad essere informata dovrebbe essere la scuola per poter subito attivare un percorso riabilitativo in sinergia con le Forze dell’ordine e i Servizi sociali. Capita purtroppo che di alcuni ragazzi perdiamo le tracce».
Quanto incide il fenomeno della dispersione scolastica?
«Per certi ragazzi, che vivono situazioni estreme di disagio e sofferenza, qual è la spinta che dovrebbe indurli all’impegno scolastico? Come modelli alcuni hanno i loro padri, i parenti stretti che sono in stato di detenzione. Il problema è che la scuola e il mondo del lavoro sono del tutto slegati».
Ad oggi secondo lei le cose sono migliorate rispetto al passato?
«Ogni piccola cosa bella mi sembra sempre una grande vittoria, un riscatto. Ma facendo un’analisi lucida ed imparziale posso affermare che a Scampia è da realizzarsi ancora una rivoluzione radicale, in quanto si è sempre proceduto con azioni palliative, di paternalismo, di sostegno all’associazionismo quale ammortizzatore sociale per varie categorie di operatori con finanziamenti anche ingenti, di cui, però, la “povera gente” detto da me con l’amorevolezza di sempre, non potrà godere mai».
Cosa dovrebbero fare le istituzioni per migliorare le condizioni sociali delle persone che si sentono emarginate?
«Il mio motto che mi ha guidato in questi 40 anni è stato: “Soluzioni concrete a problemi concreti”. Ogni istituzione deve fare la sua parte. Lo Stato dovrebbe finalizzare ogni iniziativa che incentivi la formazione al lavoro con opportunità concrete, non teoriche ed evanescenti, di cui si avvantaggiano alla fine solo i formatori, creando cooperative di lavoro a riguardo di vari settori di professionalità specialistiche per quanto contribuisca al bene comune. In quest’ottica io spero profondamente che, onde evitare sprechi con i fondi del PNRR, sia le istituzioni scolastiche, sia le altre istituzioni della società civile possano realizzare i loro progetti di promozione della cultura, di etica del lavoro e di valorizzazione delle competenze professionali al di là del mero assistenzialismo».
E per quanto riguarda la devianza minorile? Può essere una soluzione strappare i figli alle loro famiglie?
«La devianza minorile è conseguenza di tanti disagi, ingiustizie e sofferenze. Pertanto, se non ci sono situazioni di violenza, i bambini e i ragazzi non vanno allontanati. Le famiglie invece vanno affiancate, sostenute con misure di supporto finanziario, ma gestito da un tutore che lo amministrerebbe per i beni necessari, con interventi di educatori che collaborando con le scuole prendono in carico e a cuore i ragazzi evasori, con sostegno psicologico perché le sofferenze e l’indigenza stravolgono le menti e le volontà».
Come è riuscita ad accendere questa scintilla nel quartiere e come ha reagito la gente di Scampia?
«La scintilla che sono riuscita ad accendere è stata la mia presenza costante, ancora adesso fino a tarda sera a scuola, per ascoltare chiunque avesse bisogno di ogni genere di aiuto, di una parola di conforto, un consiglio per i figli o per la vita privata. Per salvare i ragazzi realizzo progetti sperimentali per il recupero degli anni persi, sviluppo i loro talenti e li seguo fino all’iscrizione ad un Istituto superiore ad indirizzo che capitalizzi con studi mirati alla professionalizzazione. Ormai sanno che dopo 40 anni mi sento una di loro, sono una di loro e non li lascerei per nulla al mondo».
Ha un aneddoto particolare che ricorda con piacere?
«Quello dell’alunno Lino il ragazzo con le treccine blu e i pantaloni strappati (oggi studente delle Superiori a pieni voti) che non aveva rispettato il nostro dress code. Il riconoscimento del Consiglio d’Europa e l’attribuzione da parte del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dell’onorificenza della carica di Commendatore ai meriti della Repubblica italiana. È stato il giorno più bello della mia vita».
Che Scampia e che Napoli immagina per il futuro?
«Sia per Scampia sia per Napoli nutro gli stessi intendimenti, ossia riconoscere i problemi, in primis sapendoli identificare uno ad uno, affrontarli con soluzioni concrete affidando incarichi a persone qualificate per preparazione specialistica ed esperienza, liberarsi degli stereotipi combattendoli senza ipocrisia. Auspico che scendano in campo ancor più eminenti rappresentanti dell’intellighenzia napoletana e della società civile che hanno ben chiari gli obiettivi e le metodologie ad hoc per realizzarli».
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