Troppo piccoli per essere giudicati e puniti dalla legge, ma abbastanza grandi per custodire e smerciare droga. Sono i bambini a metà, sono i bambini del Rione Poverelli di Torre Annunziata. Hanno tra gli undici e i dodici anni i ragazzini che i genitori hanno scrupolosamente “addestrato” e obbligato a consegnare le dosi di cocaina ai clienti affezionati. Niente di meglio di un bambino, non dà nell’occhio, è piccolo, è innocente, non può essere arrestato, non ha raggiunto nemmeno l’età imputabile, e poi la giustizia con lui sarà più clemente: è un bambino, dopotutto. No, un bambino al quale viene negata un’infanzia e gli si insegna a spacciare a dieci anni è un bambino nel corpo di un adulto. Il bambino vero è stato ucciso.

A smantellare un giro di droga enorme nel centro storico di Torre Annunziata i Carabinieri guidati dalla Procura del comune torrese. Intercettazioni shock quelle che emergono dai verbali dei Carabinieri. Uno degli indagati chiede al figlio, appena undicenne di eseguire una consegna (10 grammi di cocaina) ma lui si rifiuta: “Mi scoccio” dice. Il diniego innesca l’immediata reazione dei suoi genitori: “Che bastardo” replica la madre al figlio reticente, incalzata dal padre che rincara la dose: “Com’è infame”.

Per la consegna, a questo punto, si offre la sorella del ragazzino, anche lei minorenne, ma arriva la telefonata del fidanzato che è in carcere e la ragazza cerca di convincere il fratello offrendogli 10 euro come ricompensa. Il ragazzino accetta. Ecco la realtà nella quale vivono questi bambini. Si concludono con diciotto persone in manette le indagini avviate nel dicembre 2018 a seguito del ferimento a colpi d’arma da fuoco di un uomo, risultato poi essere un acquirente di stupefacenti, avvenuto all’interno del rione popolare Poverelli. La scoperta più amara è stato il coinvolgimento dei bambini utilizzati dai “grandi” nei traffici di droga. In manette, ma ai domiciliari anche due madri di bimbi in fasce.

Per tutti le accuse sono, a vario titolo, di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, di estorsione, detenzione e porto illegali in luogo pubblico di armi comuni da sparo, per un totale di 80 capi di imputazione, quasi tutti concernenti la droga. Per non farsi scoprire, il gruppo utilizzava un linguaggio in codice. Così la cessione delle dosi di droga diventavano “caffè, coso, biscotto”. Un linguaggio appreso dai più piccoli della famiglia, gli “intoccabili dalla giustizia” e quindi indispensabili. I “clienti” erano ricevuti in appartamenti protetti da sistemi di videosorveglianza installati del tutto abusivamente. Le dosi, invece, erano chiamate “pallini’” e potevano pesare diverse decine di grammi di cocaina, a seconda della richiesta dell’acquirente. Nel corso delle indagini sono emerse anche condotte estorsive, in questo modo gli arrestati si assicuravano che i tossicodipendenti pagassero la droga che compravano “a credito”.

Quattro degli indagati sono risultati essere percettori del reddito di cittadinanza e sono stati segnalati all’Inps per la revoca del sussidio. Brucia la legalità in una distesa di degrado e dimenticanze della politica che ora gioirà degli arresti, salvo poi tornare a occuparsi di cose belle nelle stanze dei Palazzi antichi del centro città. Brucia anche l’infanzia dei bambini del Rione. Avevano il compito di consegnare le dosi a domicilio, dovevano uscire di casa con in tasca la droga e portarla a destinazione. Pare non essere proprio un gioco adatto a un bambino. O no?

La domanda andrebbe posta a quella fetta di istituzioni che pare non vedere o meglio pare vedere e voltarsi dall’altra parte. Guarda in quella direzione e sventola le manette, ma politiche di prevenzione, interventi educativi, riqualificazione delle periferie, assistenza alle famiglie con evidenti problemi, pare non essercene traccia. E non c’è traccia neanche di azioni concrete per contrastare la dispersione scolastica che in Campania tocca picchi elevatissimi. E mentre qualcuno gioirà per le manette luccicanti e qualcun altro sarà impegnato a firmare patti e accordi con chiunque, dei bambini hanno perso per sempre la loro infanzia.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.