L'Ora del Riformista
Lo Stato ebraico nel mirino, le voci di chi non si piega: “Ogni giorno i media italiani e internazionali si affannano a ripetere falsità”
È partita quasi in sordina, ma in pochi giorni ha incassato migliaia di adesioni: la raccolta firme del Riformista di chi difende le ragioni di Israele ha toccato un nervo scoperto del dibattito pubblico. L’appello dice con chiarezza ciò che troppi evitano di dire: la demonizzazione sistematica di Israele e l’impennata di antisemitismo che ne deriva sono un fenomeno che riguarda tutti. E che va fermato.
«L’idea iniziale era semplice: incontrarci, parlare, trovare un senso al continuo montare della menzogna antisemita», ha raccontato Fiamma Nirenstein, tra le prime promotrici dell’iniziativa. Giornalista, ex parlamentare, una delle voci italiane più autorevoli sul Medio Oriente e sulla società israeliana, Nirenstein ha descritto la genesi di un appello nato da pochi amici: «Per dire una sola cosa, che oggi pare rivoluzionaria, e cioè la verità». Contro la narrazione che vede Israele come unico colpevole del conflitto, la raccolta firme vuole essere una presa di posizione netta: «Ogni giorno – ha ribadito Nirenstein – i media italiani e internazionali si affannano a ripetere falsità. Anche quando lo stesso Esercito israeliano fornisce prove, smentite, indagini, la verità viene ignorata».
Secondo l’avvocato Iuri Maria Prado, in prima linea sulle colonne del Riformista contro la narrazione antisemita dilagante, questo è il cuore della questione: «Il nostro appello diceva cose semplici, non accusava nessuno. Ricordava solo che ogni Stato ha diritto a difendersi. Eppure, fuori dai nostri circoli, queste affermazioni sono considerate assurdità». Prado ha condannato le manifestazioni di Milano e Roma: «Non sono per Gaza. Sono manifestazioni figlie dell’impostazione di Hamas. Non chiedono che vengano rispettati i diritti umani – altrimenti dovrebbero protestare contro Hamas».
Stefano Parisi, presidente dell’Associazione Setteottobre, ha sottolineato il valore simbolico delle adesioni: «Oggi firmare un appello è un gesto impegnativo. Può essere pericoloso sul lavoro, nell’università, in redazione. Eppure migliaia lo hanno fatto. Questo significa che c’è ancora chi non si lascia condizionare dalla propaganda». Parisi ha puntato il dito contro l’inerzia europea: «Se davvero si vuole la fine della guerra, bisogna lavorare per costruire il dopo. Chi toglie Hamas da Gaza? Chi garantisce la sicurezza di Israele? Parlare di due popoli e due Stati senza risposte è solo velleitarismo».
Ad aggiungere un tassello cruciale è stato Davide Romano, direttore del Museo della Brigata ebraica, per cui la manipolazione dell’informazione ricorda i meccanismi più bui della storia: «Le fake news diffuse da Hamas vengono riprese e rilanciate senza filtro da politici, giornalisti, intellettuali. Il Washington Post ha fatto mea culpa. In Italia, silenzio assoluto. Nemmeno una rettifica».
Dal fronte giovanile, Fausto Recupero – fondatore di Studenti per Israele – ha raccontato la difficoltà di portare questa voce negli atenei: «Ci minacciano, ci spintonano. Ma il fatto che ci attacchino è la prova dell’importanza della nostra battaglia». Il suo messaggio è netto: «Non ci fermeremo».
E infine Fiamma Nirenstein ha chiuso il cerchio con un’analisi lucida: «Israele combatte una guerra di sopravvivenza. E la sta vincendo, anche se nessuno lo vuole vedere. Hamas è allo stremo. Hezbollah è stato sconfitto. Eppure l’Europa chiede a Israele di arrendersi. Ma chi ha il senso della realtà – i cinquemila che hanno firmato l’appello – sa che la verità è il bene più prezioso».
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