La Striscia è piena di terroristi
Le 12 organizzazioni criminali di Gaza: spezzare il flusso di soldi esterni è l’unico modo per tagliare la testa al serpente
Hamas sta collassando, ma a Gaza i gruppi estremisti sono pronti a colmare il vuoto di potere. L’Iran finanzia le fazioni armate

Israele sta sistematicamente eliminando i vertici militari e politici di Hamas, gli esecutori materiali del massacro del 7 ottobre, ma anche i primi responsabili delle sofferenze inflitte ai civili palestinesi usati come scudi umani e per suscitare lo sdegno internazionale. L’obiettivo dichiarato di Israele è tornare a garantire la sicurezza dei propri cittadini, ma anche quella della popolazione palestinese da oltre 600 giorni ostaggio del terrore antiebraico. La campagna ha sostanzialmente eliminato la leadership storica di Hamas, i rimpiazzi e, in molti casi, anche i rimpiazzi dei rimpiazzi.
Solo pochi giorni fa, è stata confermata la morte dell’ultimo capo di Hamas: Muhammad Sinwar, fratello di Yahya, l’architetto dell’invasione del 7 ottobre, eliminato dall’Idf ma sostituito da Ismail Haniyeh, a sua volta eliminato. Nell’attacco ai bunker sotto l’ospedale civile di Khan Yunis, dove si nascondeva l’ultimo dei Sinwar, sono stati neutralizzati anche Muhammad Shabana – comandante della brigata Rafah – e Mahdi Quara – comandante del battaglione Khan Younis sud – decapitando, ancora una volta, l’organizzazione. Le figure residue sono comandanti di battaglione, tra cui Izz al-Din al-Haddad e Raed Saad; ma la maggior parte dei membri del bureau politico di Hamas a Gaza, il cosiddetto governo ombra, è stata eliminata. O è scappata da tempo.
È vero che, in questa tragedia di fanatismo omicida, per ogni criminale eliminato emerge un nuovo adepto pronto a combattere, ma Hamas si trova oggi in una crisi di leadership senza precedenti. Non si possono sostituire criminali con decine di anni di esperienza nelle guerre asimmetriche con adolescenti armati di kalashnikov. Ma il rischio finora trascurato o gravemente sottostimato è che, mentre l’organizzazione collassa, a Gaza si apra un vuoto di potere che potrebbe essere riempito da un mosaico di gruppi radicali rivali, se possibile ancora più estremisti e incontrollabili. È uno scenario già visto altrove: in Libia, ad esempio, la caduta di Muammar Gheddafi nel 2011 – per 42 anni leader riconosciuto, per quanto controverso, da tutte le tribù – ha lasciato il Paese in preda a una guerra civile tra milizie che ancora oggi non è giunta alla fine. A Gaza, lo smantellamento della struttura di Hamas senza un piano chiaro per il “dopo” rischia di produrre un simile effetto domino: un territorio frammentato, ostaggio di bande armate in lotta tra loro e sotto l’influenza di potenze straniere in competizione. Tutti uniti solo dall’odio contro Israele e contro gli ebrei in generale.
Jihad Islamica Palestinese (PIJ)
Fondata nel 1981 da Fathi Shaqaqi, la Jihad Islamica Palestinese è la seconda organizzazione più grande a Gaza e si rifà alla Rivoluzione Islamica Iraniana. Contava 10mila adepti all’inizio delle ostilità. Oggi è direttamente subordinata ai Guardiani della Rivoluzione iraniani che la finanziano con milioni di dollari. Il vertice della PIJ si trova all’estero, ed è rappresentata dal segretario generale Ziyad al-Nakhalah e dal suo vice Muhammad al-Hindi. La struttura della PIJ a Gaza si mappa su quella di Hamas, con 24 battaglioni responsabili di altrettanti settori.
Comitati di Resistenza Popolare
Fondati durante la Seconda Intifada, sono composti da disertori di Hamas, Fatah, Fronte Popolare e altre fazioni. Rappresentano il terzo gruppo più grande a Gaza. Le Brigate Salah al-Din costituiscono l’ala militare dei Comitati di Resistenza Popolare. Finanziati dall’Iran, direttamente o per il tramite di Hezbollah, si trovano in conflitto “di interessi” con Hamas. La lotta per il potere, anche al loro interno, ha provocato un’ulteriore frammentazione dai Comitati di altre due frange armate: il Movimento di Resistenza Popolare e Jaysh al-Islam (l’Esercito dell’Islam).
Brigate Mujaheddin
Durante la Seconda Intifada si sono separate dalle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa (che si rifanno a Fatah). Sono responsabili del rapimento e del massacro della famiglia Bibas. Le loro ideologie radicali, simili a quelle di Hamas e PIJ, sono ispirate al Salafismo, un’interpretazione estremista dell’Islam che si riassume in “morte agli infedeli” ed è ancora più radicale di quella seguita dai Fratelli Musulmani cui si rifà anche Hamas. La scheggia dei “Signori delle terre selvagge” si è distaccata dalle Brigate considerate troppo moderate.
Il Fronte Popolare, il fronte Democratico e il Comando Generale
Altre tre organizzazioni a Gaza sono il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP), il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina (DFLP) e il Comando Generale del Fronte Popolare. Persi i legami con l’ideologia marxista-leninista, oggi si rifanno all’Iran e ad Hezbollah, e hanno preso parte al massacro del 7 ottobre. Il segretario generale del PFLP, Ahmad Saadat, sta scontando una condanna a 30 anni per l’omicidio nel 2001 del ministro israeliano Rehavam Ze’evi, mentre quello del DFLP è il 90enne Nayef Hawatmeh, relativamente al sicuro in Siria. Infine, il leader del Comando Generale, Talal Naji, si nasconde a Damasco.
Cellule indipendenti: i subappaltatori di Hamas
Numerose cellule terroristiche composte da disertori di Fatah operano a Gaza, tra cui almeno quattro fazioni indipendenti delle Brigate Martiri di Al-Aqsa. A questi si aggiunge il Movimento Palestinese dei Cercatori di Libertà, fondato da Ahmad Abu Hilal che però, nel 2021, è passato ad Hamas. Questi gruppi, finanziati direttamente dall’Iran, spesso agiscono come subappaltatori di Hamas, svolgendo operazioni di supporto e cooperando con altri gruppi radicali.
Stato Islamico e al-Qaida
In totale, si contano almeno 12 organizzazioni criminali che, in modo più o meno saltuario, collaborano con Hamas. E ci sono prove che si siano addestrati congiuntamente prima dell’invasione del 7 ottobre. Ma a Gaza sono attive anche diverse cellule terroristiche non affiliate ad Hamas. Queste hanno l’obiettivo di stabilire califfati fedeli allo Stato Islamico oppure, in diretto conflitto con i primi, ripongono fedeltà agli avversari di al-Qaida. Una delle principali fazioni legate ad al-Qaida è Jaysh al-Islam, nata da transfughi dei Comitati di Resistenza e legata al clan Durmush. Sono stati coinvolti in rapimenti di giornalisti, attacchi in Egitto e altre operazioni terroristiche. È curioso che, all’inizio della guerra, siano stati identificati come un vettore affidabile per il trasporto degli aiuti umanitari.
Tagliare la testa dell’Idra
Identificare, isolare e neutralizzare questa galassia di milizie jihadiste sembra un obiettivo pressoché irrealizzabile. Le fazioni armate sono oltre 15, spesso in concorrenza – se non in conflitto – tra loro, pronte ad alternare alleanze temporanee a guerre intestine. Molte non rispondono più ad Hamas, ma direttamente a potenze straniere come l’Iran, che continua a fornire fondi, armi, addestramento e legittimità ideologica.
In questo contesto, qualunque piano per stabilizzare Gaza dopo la fine del conflitto rischia di naufragare se non si affronta il cuore del problema: il flusso di risorse che alimenta queste organizzazioni. L’unico percorso realistico per smantellare la rete criminale nella Striscia passa oggi non tanto – o non solo – dalla repressione militare locale, ma dal blocco sistemico dei canali esterni di finanziamento e sostegno. Tagliare la testa del serpente significa impedire all’Iran di continuare a utilizzare Gaza come campo di battaglia per procura. Senza questo passo, ogni tentativo di ricostruzione politica e civile rischia di essere vanificato dalla costante rigenerazione di nuovi gruppi armati, pronti a riempire i vuoti lasciati da Hamas.
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