Alle 17,15 di ieri, con diciotto voti contro undici, Il consiglio regionale della Liguria ha assolto e promosso il proprio presidente. È stata una lunga giornata, che ha confermato la fiducia politica a Giovanni Toti. Assolto l’indagato, sospettato di corruzione e voto di scambio, che ha già dato le proprie risposte ai pubblici ministeri e al giudice che lo tengono agli arresti domiciliari con motivazioni in verità alquanto fragili. Non c’è reato da replicare all’orizzonte né prove da inquinare, dopo quattro anni di controllo audio-video sull’intera vita del presidente. Ma promosso soprattutto l’amministratore e il politico. Tira buona aria, a Genova. I liguri non paiono turbati dalla bomba-giustizia che si è abbattuta sul palazzo della Regione, tanto che nella ricorrenza del 2 giugno hanno visitato in massa gli uffici, senza turbamento per la porta chiusa del presidente. E i protestatari delle dimissioni, fuori dal palazzo, erano solo una ventina.

Conte poco Allegretti

Meno sereni i “cugini” del Piemonte, dove una bufera, per ora giornalistica, ha travolto un candidato alle elezioni regionali, l’ingegnere Marco Allegretti, fiore all’occhiello della lista dei più puri dei puri, quelli del Movimento cinque stelle. Il quotidiano La Repubblica ha rivelato l’esistenza di due diverse inchieste penali, una ad Asti l’altra a Torino, in cui il candidato è indagato per reati piuttosto gravi. Il nervosismo di Giuseppe Conte non ha potuto chiudere la falla che si è aperta nella reputazione della sua sub-cultura da tagliagole. Perché è vero che l’ingegnere ha immediatamente ritirato la propria candidatura, pur sapendo che non è possibile, e che domenica prossima il candidato Marco Allegretti potrà essere ugualmente votato. Ma è ancor più vero che al Movimento cinque stelle è capitato l’imprevedibile: l’indagato. Vergogna, vergogna, un indagato in casa nostra, roba da far tremare i muri. Ancora più imprevedibile la difesa da parte dell’ex presidente Conte, che si è affrettato a dichiarare l’innocenza del suo candidato.

Lo stile Toti

Sta proprio cambiando il mondo della politica. Meno male. Lo dimostra anche il fatto che lo “stile Toti” sta funzionando e sta determinando una svolta nel rapporto politica-magistratura. C’è prima di tutto la riscoperta di quell’orgoglio della nobiltà della politica che fu calpestato da un gruppuscolo di pubblici ministeri che ebbe l’ardire di vedere le proprie mani più pulite di quelle degli altri. C’è poi la sicurezza dell’amministratore che si sente tranquillo non solo per aver fatto il proprio dovere, ma anche per la consapevolezza di averlo fatto nell’interesse dei cittadini. Pare una risposta un po’ “andreottiana”, cioè dei tempi precedenti a tangentopoli, quella del governatore Toti. Nessuna indignazione nei confronti della magistratura, nonostante le tante anomalie dell’inchiesta, a partire della stranezza delle manette, per quanto domiciliari, buttate lì, in mezzo a una campagna elettorale in cui il presidente della Regione Liguria non era minimamente coinvolto.

La conta dei “non ricordo”

Ma, proprio come faceva Giulio Andreotti mentre veniva processato per mafia e stava seduto e attento ogni giorno nell’aula che lo infamava, allo stesso modo Giovanni Toti si è sottoposto con tranquillità a un interrogatorio durato otto lunghe ore. Si è comportato da cittadino per bene che non ha dovuto preparare un alibi perfetto, come fanno, e i pm lo sanno bene, coloro che hanno qualcosa da nascondere. Quindi, ogni volta in cui la memoria non aiutava, ha detto anche dei “non ricordo”. E solo qualche giornalista cretinetto, dipendente di quell’editore che odiava per invidia Berlusconi e tutti i suoi discendenti, ha potuto contarli per indurre il lettore al sospetto e alla gogna.

Il pierino Sansa

Non è semplice resistenza, è rilancio. Questo era il nostro programma, e questo abbiamo fatto, ha detto l’amministratore Toti. E poi agli antagonisti politici: perché per presentare la mozione di sfiducia avete aspettato di essere imboccati dalla procura? L’argomento è indovinato, e lo ha dimostrato la lunga discussione che ha occupato la gran parte della giornata di ieri in consiglio regionale. L’unico pierino a esibirsi con intemperanze non solo verbali, fino ad avvicinarsi in modo vagamente provocatorio alla consigliera di maggioranza Laura Lauro, che stava svolgendo il proprio intervento, è stato il giornalista del Fatto in aspettativa Ferruccio Sansa, che fu competitor di Toti alle elezioni. E che, nella dichiarazione di voto, parla di “questione morale”, come gli impone il copione della casa madre, e poi lancia il suo grido di guerra all’aula: “Toti non può tornare qui”.

Per il resto, il british ligure è stato osservato. Il presidente a interim Alessandro Piana ha rivendicato i lavori fatti e lo sviluppo della Regione, così come Alessandro Bozzano, il capogruppo di “Cambiamo”, che fa riferimento a Giovanni Toti e che, a inizio seduta, ha dato voce allo stesso presidente con la lettura del suo messaggio da lontano. Gli esponenti delle opposizioni hanno fatto fatica a tenere fuori dell’aula le carte del procuratore, anche perché le “ragioni di opportunità” che hanno portato alla mozione di sfiducia non riescono, e forse non potrebbero prescindere da quelle carte.

La favola della contiguità alla mafia

Se c’è stata addirittura una vera caduta di stile, persino nelle parole del consigliere Luca Garibaldi, capogruppo di quel Pd che, a quanto pare, non era neppure del tutto convinto sulla mozione, è stata la citazione della contiguità alla mafia. Che ha ignorato non solo il fatto che Giovanni Toti non è neppure sfiorato da quella parte dell’inchiesta, ma anche che quelle accuse, che riguardano, in modo molto blando, solo un sindacalista della Cgil, sono le più deboli di tutto quanto l’impianto accusatorio. E che sono state però molto utili ai pm di La Spezia e poi di Genova per poter intercettare e poi evitare la prescrizione dei reati. “Lei consigliere – ha replicato all’esponente del Pd Garibaldi il capogruppo di Forza Italia, Claudio Muzio- ha già emesso la sentenza e l’ha anche depositata”.

Peccato, per questa precipitazione della sinistra dal british style al grillismo. Anche perché una freccia all’arco della polemica sul garantismo in effetti esiste, ed è la caduta degli esponenti di centrodestra in Puglia, prima con la richiesta di accesso agli atti per pericolo di infiltrazioni mafiose sulla città di Bari e poi la presentazione di una mozione di sfiducia in Regione Puglia in seguito ad alcuni arresti. La strada è ancora lunga. Ma lo “stile Toti” è un gran bel passo avanti.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.