Signore e signori, ecco l’audio dell’interrogatorio di Roberto Spinelli. Il lancio, forse non proprio un’esclusiva, è del Fatto Quotidiano, cui non par vero di poter istigare il suo popolo a emettere sentenze e chiedere manette. Ma la fonte prima è la giudice Paola Faggioni, la quale si è ritrovata davanti a un fatto meno singolare di quanto si creda. E cioè che il programma software usato dai pubblici ministeri di Genova per tradurre in iscritto il linguaggio parlato, abbia sbagliato. Ha preso “fischi per fiaschi”, ha detto l’avvocato Alessandro Vaccaro, legale di Roberto Spinelli, uno degli inquisiti dell’inchiesta genovese che ha portato agli arresti il governatore Giovanni Toti. Il suo assistito aveva detto che Toti voleva finanziamenti “leciti”. Il software ha trascritto “illeciti”. Un bell’amico del giaguaro! Il legale ha fatto correggere subito, ma ai magistrati non andava bene, volevano il Var. E va bene, mettiamoci tutti in curva Genoa-Samp. E Travaglio ha eretto a giudici i suoi tifosi. Proprio come i suoi antenati dell’Espresso, quando inserirono in un numero della rivista, mentre era in corso il rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse, un dischetto che riproduceva la voce del telefonista che chiamava la casa del presidente della Dc per esplicitare le richieste e i ricatti del gruppo terroristico. Una bella istigazione al linciaggio, da società dell’untore, roba da seicento manzoniano. Cose del passato.

Il Var bacchetta i pm sulla trascrizione fake

Per fortuna il Var genovese dei giorni nostri si è mostrato più ragionevole degli stessi magistrati e ha detto pane al pane e vino al vino, ha rimesso le lucciole nei prati al posto delle lanterne e, per dirla con l’avvocato Vaccaro, i fischi nell’aria e i fiaschi in cantina. Ma era proprio necessaria questa scampagnata delle parti, dal momento che l’interpretazione autentica delle parole era già stata data da chi le aveva pronunciate, cioè l’imprenditore Roberto Spinelli? È chiaro che l’indagato è sempre una persona sospetta, altro che presunto innocente secondo la costituzione. E non parliamo di quell’intruso dell’avvocato, costretto ad andare con il cappello in mano nell’ufficio del giudice mentre il suo alter ego, l’altra parte processuale, il pm, non deve neanche bussare alla porta, gli basta premere la maniglia ed entrare.

Le toppe di Woodcock e Gratteri

Ma il problema delle trascrizioni è serio, sia quando è opera dell’appuntato dei carabinieri, sia quando si arriva all’intelligenza artificiale. Ma anche la questione delle stesse intercettazioni, e del riconoscimento delle voci, non è roba da poco. Ricordiamo, in una delle tante inchieste calabresi del procuratore Nicola Gratteri, un certo Giuseppe, che parlava al telefono con un boss, e che era stato indicato dal solito “pentito” come una certa persona. Che era stata arrestata. Ci sono volute settimane perché la richiesta dell’avvocato ad avere una perizia fonica venisse accolta. Naturalmente il Giuseppe arrestato non era lo stesso che parlava al telefono con il boss ed è stato scarcerato. Ma se non si ha un difensore capace e soprattutto caparbio e in grado di farsi ascoltare dai magistrati? A volte si finisce con il ridere, nelle aule di tribunale, ma solo quando le manette non stringono più i polsi dell’imputato. Come quella volta in cui, nel processo di Napoli istruito dal pm Woodcock che riguardava anche l’editore Alfredo Romeo, nella conversazione tra due dirigenti dell’impresa di pulizie, risultò che uno avesse detto all’atro “tu che sei l’esperto del crimine”. L’espressione inglese era “cleaning”, che significa appunto pulizia, e che è evidentemente “sfuggita” persino a un pm di madrelingua inglese. Non si parlava di crimine, ma la sciatteria e l’incuria, prima ancora che la volontà persecutoria, spesso regnano sovrane nelle aule di giustizia.

Domiciliari e dimissioni

Certo però che a Genova c’è una giudice delle indagini preliminari molto determinata, come dimostrato da questa vicenda della Var. Il che lascia intendere anche la necessaria prudenza dell’avvocato Stefano Savi, difensore di Giovanni Toti, nel presentare la richiesta di revoca della misura cautelare. Chi ci ha provato finora si è scottato le dita. Francesco Moncada, prima di tutto, il dirigente di Esselunga che oltre a tutto si è pure dimesso dal consiglio di amministrazione della società. Ha un’interdittiva professionale, cioè non può lavorare. Il suo legale ha chiesto alla gip di revocargliela, riposta picche. Proprio ieri hanno sbattuto contro il muro dei no anche i difensori di Aldo Spinelli, alter ego di Toti negli arresti domiciliari. Anche gli avvocati Andrea Vernazza e Alessandro Vaccaro ci hanno provato. Il loro assistito è già stato interrogato, ha risposto a tutte le domande, non ha negato né le telefonate né i versamenti dei contributi elettorali al governatore. Solo che, proprio come lo stesso Toti, si è permesso di dare un’interpretazione diversa, e cioè totalmente legale, di quelle elargizioni. Ma niente da fare. La gip ritiene che, qualora l’imprenditore fosse libero di riprendere a fare il proprio mestiere, potrebbe ricominciare a delinquere. Quasi come se fosse inevitabile. E a chi potrebbe in questi giorni il signor Ado Spinelli dare versamenti elettorali? E soprattutto, con quello che gli è capitato, avrebbe voglia di farlo? Però le motivazioni della giudice sono esplicite e parlano proprio di pericolo di ripetizione del reato. Ma siamo sicuri che questo rischio sia attuale e concreto? Perché il codice di procedura penale è piuttosto chiaro. E allora, che cosa si aspetta, forse le dimissioni di Giovanni Toti?

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.