In attesa della libertà. Anche politica. Dopo oltre due settimane di manette a domicilio e dopo l’interminabile interrogatorio, riavrà la libertà? Le cento domande al governatore Giovanni Toti, o la domanda delle cento pistole per sapere come andrà a finire la vicenda della Regione Liguria, che con il suo porto muove affari di centinaia di milioni di euro, ma dove il suo numero uno, il presidente, è accusato a arrestato per una tangente di 74.100 euro versate a rate e in modo legale e trasparente al Comitato elettorale?

I pubblici ministeri, per quanto recalcitranti perché non avevano nessuna fretta, sono arrivati in gruppo, ieri mattina alle 11. I sostituti Federico Manotti e Luca Monteverde, accompagnati dal procuratore aggiunto Vittorio Ranieri Miniati. Giovanni Toti con il suo difensore, l’avvocato Stefano Savi. Il luogo prescelto, si dice per motivi di riservatezza, mentre giornalisti e telecamere affollano gli ingressi, è simbolico: una caserma nel bel mezzo del Porto. Il luogo delle nefandezze, secondo gli stessi titolari della caserma, la Guardia di Finanza.

Le 180 domande

Lì dentro viene “torchiato” con più di cento domande, o la domanda delle cento pistole, Giovanni Toti. Sarebbero state addirittura 180 i quesiti posti al governatore.La questione vera, prima ancora di entrare nel merito delle accuse, riguarda le modalità dell’inchiesta da parte delle due procure di La Spezia e Genova. Tre anni di indagini segrete con intercettazioni, trojan e cimici negli uffici della Regione Liguria con video-sorveglianza su ogni conversazione e ogni mossa del governatore e i suoi collaboratori.

Neanche nei confronti dei boss mafiosi, si fa così. E poi il comportamento della gip Paola Faggioni, la quale prima si è concessa una decisione “tranquilla”, visto che il fascicolo del pm era molto corposo, e poi, cinque mesi dopo la data della richiesta della procura, ha deciso di applicare la custodia cautelare.
In carcere per l’ex presidente dell’autorità portuale di Genova e Savona, Paolo Emilio Signorini, e ai domiciliari per l’imprenditore Aldo Spinelli e il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. Ora, senza che la pensosa gip si offenda, la domanda però è indispensabile: era proprio necessario, dopo tre anni di indagini e senza una scadenza urgente alle porte, mettere agli arresti un governatore di Regione? Non solo un magistrato, ma un qualunque cittadino sa quali conseguenze comporti un atto di questo genere.

Le conseguenze

Prima di tutto il blocco dell’attività amministrativa, dopo la sospensione del governatore dall’incarico, come previsto dalla Legge Severino in caso di arresto. E poi il problema politico, il disagio all’interno della stessa maggioranza di governo, con le opposizioni che ovviamente chiedono le dimissioni del presidente e lui stesso, messo agli arresti domiciliari, che non può neppure comunicare al di fuori della propria abitazione ed è costretto a prendere una decisione difficile che può cambiare la sua vita, quella del suo partito e di chi lo ha eletto, in totale solitudine. È forse questo il senso di quell’ordinanza di custodia cautelare? Un atto politico destinato a sfociare in un cambio di amministrazione in una Regione? Non crediamo che nella testa di nessun magistrato ci sia questo esplicito desiderio, ma resta il fatto che, ovunque ciò sia capitato, dall’Umbria alla Calabria alla Basilicata, le cose sono andate così.

Erano tre Regioni governate dalla sinistra e dopo inchieste finite poi in nulla, sono passate al centrodestra. In questo caso la situazione sarebbe opposta, e c’è già Andrea Orlando, savonese ex ministro del Pd, che sta scaldando i muscoli. E allora chiediamoci, ma davvero l’imminenza di elezioni europee, nelle quali Toti non solo non è candidato ma neppure attivo nella campagna elettorale, determinava la necessità delle manette? Due sui tre requisiti previsti dall’articolo 274 del codice di procedura penale per determinare la custodia cautelare, cioè il pericolo di inquinamento delle prove o di reiterazione del reato, sono indicati come determinanti nel caso di Giovanni Toti. Sarebbe proprio la carica di presidente a rendere probabile, secondo la procura, la possibilità di subornare testimoni e di conseguenza annullare le prove dell’avvenuta corruzione.

I contributi privati

Ma siamo sicuri, come si chiede l’avvocato Stefano Savi, difensore del governatore, che ci sia un reato ogni volta in cui si ricevono contributi elettorali da un imprenditore che in seguito fruisca, in modo regolare, di una concessione, oppure vinca una gara pubblica gestita dallo stesso amministratore cui si è fatto il versamento? Se in Italia non esiste più il finanziamento pubblico dei partiti, è possibile che ogni contributo privato, pur se versato in modo trasparente e tracciabile, sia guardato con sospetto? Ecco allora perché diventa quasi secondario chiedersi che cosa avrà detto, in quelle lunghe ore del silenzio del porto di Genova, in quella caserma della Guardia di Finanza, Giovanni Toti ai pubblici ministeri arrivati in batteria a interrogarlo.

Ha spiegato di aver tenuto un ruolo da mediatore nella eterna guerra del porto tra i “terminalisti”, e in particolare tra Spinelli e Aponte. I quali, alla fine, erano scontenti in modo uguale. Non ha detto, ma era sottinteso, che quei versamenti di 15.000 più 15.000, più 40.000 più 4.100 ricevuti in modo lecito e trasparente dall’imprenditore Spinelli in diverse tornate elettorali, sarebbero stati cifre ridicole come tangenti nel traffico di un grande porto in cui si muovono miliardi. E potremmo aggiungere che ancora più surreale era la speranza di Aldo Spinelli di far privatizzare, con l’intervento di Toti, una spiaggia che deve restare pubblica a norma della direttiva Bolkestein. E non parliamo dei “mafiosi” riesini cui sarebbe stato promesso, in cambio di voti, un alloggio popolare mai visto e un posto di lavoro mai arrivato. E allora perché cento ore di interrogatorio? E perché le manette, per quanto domestiche?

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.