Era il 1977 e gli studenti di tutta Italia reclamavano una non più prorogabile riforma della scuola e la riaffermazione i principi di partecipazione democratica. Erano anni convulsi e con la battaglia del movimento studentesco si intrecciava una più generale lotta politica fatta di identità e ideologia. Al liceo Gian Battista Vico, scuola di grande fermento democratico, arrivò un preside che riteneva che la politica dovesse stare fuori dall’istituto e si comportava da vecchio gerarca. Gli studenti risposero con l’occupazione e con l’autogestione dei corsi di studio.Quegli studenti mantennero l’istituto in assoluta integrità, dando prova di lungimiranza e affidabilità. Quel preside, però, rilasciò un’intervista in cui raccontava che i ragazzi si erano comportati da vandali producendo gravi danni alla struttura: una volgare e infamante bugia. Quegli studenti si ribellarono civilmente, ma intanto un meccanismo perverso era stato innescato e alcuni di loro, uno in particolare, subirono una violenta repressione.

Veniamo ai giorni nostri. La pandemia ha colpito pesantemente il sistema scolastico e universitario, obbligando docenti, personale e studenti alla didattica a distanza, con tutta una serie di difficoltà e un comprensibile malessere dovuto all’indeterminatezza della situazione. Sono mesi che Parlamento, Governo e istituzioni locali discutono delle modalità di un graduale ritorno alla normalità, ma la recrudescenza del Covid vanifica questo confronto. Nel frattempo il mondo studentesco è tornato a farsi sentire, rivendicando la necessità di rientrare in aula ma in condizioni di  assoluta sicurezza per tutti: un’azione meritevole e di grande civiltà. Proprio al liceo Vico gli studenti sentono deboli le scelte delle istituzioni e temono che tutte le responsabilità possano ricadere sulle loro spalle e su quelle dei docenti. Per far sentire la propria voce hanno quindi deciso di occupare simbolicamente l’edificio, tra l’altro a scuola ancora chiusa, invocando ascolto, condivisione e risposte serie e concrete.

L’obiettivo è tornare alla didattica in presenza e, dunque, alla normalità, andando oltre i bizantinismi che da mesi caratterizzano la discussione tra le forze politiche, il Governo e il restante sistema istituzionale. Questi studenti hanno lanciato un messaggio chiaro, limpido, chiedendo di essere ascoltati e di poter essere partecipi del loro futuro. Sono stati così responsabili da liberare l’istituto per consentire la disinfezione prima della ripresa delle lezioni in aula, sottolineando ancor di più il valore simbolico del loro gesto. E non hanno avuto il timore di farlo davanti alle telecamere dei telegiornali.

Così la dirigente scolastica del liceo, forse memore del suo predecessore, è intervenuta a gamba tesa scatenandosi contro i ragazzi, prendendone a campione tre – Luca, Beatrice e Gabriele – e chiedendo per questi ultimi  pesanti provvedimenti disciplinari che mettono in discussione la positiva conclusione dell’anno scolastico. Sospensione di trenta giorni, cinque in condotta e via così. Insomma, i tre vengono ora rappresentati come brutti, sporchi e cattivi, meritevoli di ogni ritorsione. Una follia bella e buona, un grigiore che ricorda le pagine più avvilenti della nostra storia: l’apparato che si scaglia violentemente contro chi rivendica diritti sacrosanti.

E i vertici regionali della scuola che dicono? Per fortuna l’istituto è composto da tanti insegnanti di valore che hanno saputo mitigare le “incandescenze” della dirigente che ora invoca “soltanto” una sospensione di dieci giorni. Fanno bene genitori e ragazzi a resistere anche legalmente. È mai possibile che, anziché trovare la via del dialogo, del confronto, dell’unificazione degli obiettivi in una fase così delicata per tutti, soprattutto per i più giovani, si debba ritornare ai metodi dell’inquisizione? Io sto con Luca, Beatrice, Gabriele e con i tanti giovani come loro.