Nemmeno il tempo di far rientrare in aula studenti e insegnanti che la scuola è tornata al centro delle polemiche. La calca all’ingresso e le notizie sui contagi all’interno di alcuni istituti di Napoli e dintorni sono bastate per scatenare il panico soprattutto tra quei genitori che mai avrebbero voluto che i figli tornassero in classe, ritenendo la didattica a distanza più sicura delle lezioni in presenza. La vera questione, però, non è data dalla contrapposizione tra sostenitori e detrattori della Dad, ma dalle falle nella gestione dell’emergenza da parte di Regione e Comuni.

Partiamo da una premessa: l’obiettivo della pubblica amministrazione, soprattutto in questa fase, dovrebbe essere quello di gestire la quotidianità senza piegarsi al virus. Regioni come la Campania, invece, hanno dimostrato una preoccupante tendenza al “chiusurismo”, cioè ad affrontare il Covid chiudendo tutto: bar, ristoranti, musei e, appunto, scuole. Così si assiste a un rovesciamento di prospettive: l’adozione di strategie di convivenza col virus, che dovrebbe essere l’obiettivo prioritario e dunque il piano A di Regione e Comuni, cede il passo alla chiusura indiscriminata e a oltranza di esercizi commerciali e uffici pubblici, che in teoria dovrebbe rappresentare la soluzione di emergenza e dunque il piano B.

Detto questo, non si può non sottolineare come le ordinanze con cui il Tar della Campania ha imposto il ritorno alle lezioni in presenza per le quarte e quinte elementari, oltre che per le scuole medie, abbiano colto di sorpresa la Regione e molti Comuni campani. Rassegnati a tenere chiusi gli istituti e gli studenti incollati ai computer di casa almeno fino a febbraio, il governatore Vincenzo De Luca e i sindaci non hanno delineato un piano che consentisse a insegnanti, scolaresche e personale di rientrare in classe immediatamente e in condizioni sicure. In altre parole, non hanno messo a punto il piano A, cioè una strategia per far sì che la vita riprendesse e proseguisse quasi normalmente per le migliaia di persone che affollano le scuole regionali.

Si sarebbe trattato di scaglionare gli ingressi in aula, organizzare doppi turni di lezioni, rafforzare il trasporto locale affiancando ai vettori pubblici quelle aziende private che le misure anti-Covid e il conseguente blocco dei flussi turistici hanno ridotto alla canna del gas. De Luca aveva accennato a simili iniziative, eppure il caos l’ha fatta da padrone. E, nonostante le sollecitazioni del prefetto Marco Valentini, il sindaco napoletano Luigi de Magistris si è ben guardato dal riorganizzare gli orari di attività di scuole, uffici e mezzi pubblici di trasporto come il Testo unico degli enti locali e la legge 53 del 2000 impongono a tutti i primi cittadini ormai da vent’anni a questa parte. L’accelerazione impressa dal Tar alla riapertura delle scuole ha messo a nudo tutte queste carenze.

Si può andare avanti così? Certo che no. I ritardi della campagna vaccinale lasciano presagire che l’Italia non riuscirà a mettersi la pandemia alle spalle prima del prossimo anno. Ecco perché la prospettiva dei governanti deve cambiare: no a chiusure indiscriminate, sì a programmi che consentano a studenti, insegnanti, commercianti, imprenditori e a chiunque altro di convivere col virus in attesa di sconfiggerlo. Per centrare l’obiettivo, però, servono idee, piani e strategie di cui al momento, a giudicare dal caos sulla riapertura delle scuole campane, non c’è traccia.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.