I venti di guerra soffiano sempre più intensi sul Libano. Dopo gli ultimi attacchi di Hezbollah contro il nord di Israele – attacchi con droni e missili da cui sono scaturiti incendi che hanno investito anche il sud del Paese dei cedri – il governo di Benjamin Netanyahu ha fatto capire di essere pronto a una prova di forza. E le indiscrezioni giunte al media Al Akhbar, vicino alla milizia sciita libanese, hanno messo in chiaro che le Israel defense forces sarebbero pronte a un’azione diretta su vasta scala già a partire dalla metà di giugno. Dal governo di Beirut hanno smentito questa ipotesi. Tuttavia la strana rivelazione da fonti londinesi non è troppo diversa dallo scenario ipotizzato dall’intelligence americana, che già nei mesi scorsi aveva parlato della possibilità di un’operazione diretta israeliana contro Hezbollah all’inizio dell’estate. E l’escalation in corso rientra perfettamente in questo schema.

Ieri l’esercito israeliano ha confermato la notizia di un drone carico di esplosivo che ha colpito la città di Hurfeish, a diversi chilometri dal Libano, provocando il ferimento di undici persone. E la forza sciita ha rivendicato il lancio di missili “contro la batteria Iron Dome a Ramot Naftali”. Come riferito dall’emittente israeliana Channel 12, Netanyahu ha visitato la città di Kyriat Shmona, nel nord di Israele, e ha detto che il Paese è “pronto per un’operazione molto forte nel nord”. E il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha inviato un chiaro segnale nei confronti dei nemici dello Stato ebraico sorvolando i confini della Striscia di Gaza e dello stesso Libano a bordo di un F-15 del 133mo squadrone dell’Aeronautica israeliana. Le forze armate israeliane hanno colpito le postazioni di Hezbollah con artiglieria e aviazione. E mentre al Jazeera ha riferito dell’uso di bombe incendiare per colpire il sud del Libano, Human Rights Watch ha lanciato invece un’accusa sull’uso “diffuso di fosforo bianco da parte di Israele nel sud del Libano” che “sta mettendo i civili in grave rischio e sta contribuendo allo sfollamento dei civili”.

La situazione è sempre più incandescente. E si fa sempre più concreto il rischio che si arrivi a una guerra aperta dopo che dal 7 ottobre è iniziato un conflitto a bassa intensità tra Idf e Hezbollah. Il gabinetto di guerra israeliano, che riunisce non solo membri della maggioranza ma anche dell’opposizione (in primis l’ex generale Benny Gantz), è sicuro che il problema del fronte settentrionale va affrontato. E questo dovrebbe avvenire entro poche settimane o mesi. Da ottobre il nord di Israele è sottoposto a una continua pioggia di razzi e droni e a una minaccia che rende impossibile svolgere una vita normale per tutte le comunità della regione. Decine di migliaia di sfollati aspettano di tornare nelle proprie case, ma non possono ricevere garanzie di sicurezza indispensabili. Le aziende sono in larga parte ferme e la vita è di fatto bloccata da ottobre. Gli Stati Uniti (coordinandosi anche con la Francia) hanno iniziato da mesi a trattare con lo Stato ebraico e il fragile governo libanese per cercare di arrivare un accordo che metta in sicurezza il confine tra i due Stati e garantisca la sicurezza di entrambi.

La presenza di Hezbollah nel sud del Paese dei cedri resta il nodo principale da sciogliere. E se il segretario generale della milizia, Hassan Nasrallah, non ha intenzione di innescare una guerra su vasta scala con Israele, dall’altra parte non si può non tenere conto degli altri interessi legati alla presenza di questa forza sciita. In primis l’impossibilità per l’esercito libanese di garantire attualmente il controllo di quel territorio. In secondo luogo resta il grande punto interrogativo della strategia dell’Iran, dominus e sponsor del Partito di Dio libanese. Il ministro degli Esteri ad interim iraniano, Ali Bagheri Kani, in questi giorni si è recato prima a Beirut e poi a Damasco, in Siria, per coordinarsi con i suoi maggiori alleati regionali nella sfida a Israele e rafforzare il cosiddetto Asse della resistenza islamico. Ed è chiaro che Teheran abbia tutto l’interesse a non perdere di vista il fronte libanese, sia per la capacità militare di Hezbollah, resa sempre più evidente negli ultimi anni, sia per mantenere in vita una costante minaccia strategica nei confronti dello Stato ebraico.

La tensione non può che rimanere alta ancora a lungo. Sia per il proseguimento della guerra nella Striscia di Gaza – di cui il Libano è uno dei fronti paralleli – sia per la difficoltà di trovare un accordo che soddisfi Israele e la stessa milizia libanese (e i suoi sponsor). Ma il rischio che la tensione sfoci in un’escalation incontrollata preoccupa intelligence e diplomazia. L’attacco avvenuto ieri nei pressi dell’ambasciata americana di Beirut, una vera e propria fortezza nel cuore del Libano, è stato interpretato come un segnale preoccupante. Le forze di sicurezza hanno arrestato due individui, uno dei quali cittadino siriano. E le indagini proseguono senza sosta.