Gianluca Calvosa, fondatore di OpenEconomics, società leader in Italia nella valutazione d’impatto socioeconomico, e Standard Football, spin-off di analisi finanziaria in ambito sportivo specializzata soprattutto nell’industria del calcio, racconta come si possono stimare gli impatti dei successi del Napoli per la città

Napoli è ancora in festa per questo nuovo scudetto vinto ma, a parte l’entusiasmo dei napoletani, è possibile stimare il reale valore di questo titolo dal punto di vista economico?
«L’impatto positivo sui ricavi è quantificabile in una cifra che si aggira almeno intorno ai 60 milioni, tra percorso per la Champions League e il premio relativo ai diritti televisivi. Discorso diverso, e più complesso, è provare a stimare l’impatto economico per la città».

Appunto, è possibile comprendere se questa ricchezza abbia un effetto moltiplicativo a beneficio del territorio?
«I ricavi del Napoli derivano principalmente da diritti televisivi, sponsorizzazioni e vendita dei biglietti. L’impatto di queste attività in termini di indotto per il territorio è decisamente basso. Sui costi, si tratta perlopiù di stipendi per i calciatori, ossia circa 20 individui con un’elevata propensione al risparmio, consci di avere una vita utile lavorativa che non supera gli 8 anni. C’è poi l’affitto dello stadio, non certo investimenti con grandi impatti locali».

È davvero così limitato l’impatto economico? Solo degli sportivi ben pagati che risparmiano gran parte del loro stipendio e un esiguo affitto incassato per lo stadio?
«Tutt’altro, le stime di impatto economico sono una materia molto più complessa che non si ferma ai numeri di bilancio: esistono benefici non finanziari da non trascurare. Il primo è quello creato sull’entusiasmo dei napoletani che, oltre ad avere impatto sulla qualità della vita per gli effetti di coesione sociale, genera un aumento dei consumi. Inoltre, è dimostrato dalla letteratura scientifica che la maggior attenzione di una comunità verso lo sport induca alla pratica sportiva che determina benefici alla salute, riduzione dei tassi di microcriminalità e di abbandono scolastico».

Oltre a questi benefici indiretti, la vittoria dello scudetto ha sicuramente un impatto sui flussi turistici…
«Sicuramente è da considerare anche il turismo, ma per un evento del genere l’impatto è marginale a causa sia della durata che dell’ampiezza della tifoseria in trasferta coinvolta, a differenza dei grandi eventi come i Mondiali di calcio».

È corretto dire che l’economia del calcio ha comunque un valore a Napoli?
«Certamente lo ha, quel valore lo potremmo stimare con un’ipotesi molto semplice seppur astratta: se domani qualcuno decidesse di portare in un’altra città il Napoli calcio, sicuramente i tifosi sarebbero disposti a pagare per poter trattenere la squadra qui: ecco, quello è il valore intrinseco di un asset come il Napoli calcio».

Come fare allora per accrescere il valore economico di questo asset e far sì che crei ricchezza per il territorio?
«Come in altre industrie, il vero impatto economico per i territori si genera quando le imprese private compartecipano alla creazione delle infrastrutture locali. In questo caso parliamo ovviamente dello stadio, che creerebbe nei primi 3-4 anni di cantiere uno shock di domanda di beni e servizi per le imprese locali; al termine inizierebbe uno shock di offerta con la generazione di nuovi servizi con centri di formazione, spazi di coworking, nuovi spazi di vendita…».

Sono in tante le squadre ad avere uno stadio di proprietà: è davvero sufficiente per avere un impatto sul territorio o ci sono altri modelli di business virtuosi da poter osservare?
«Il modello da osservare e replicare è quello del Manchester City. Il Gruppo di riferimento ha ben 12 squadre e non guadagna vincendo campionati ma “fabbricando” calciatori. Si tratta del più grande talent scout e centro di formazione per calciatori emergenti del mondo. Una città come Napoli potrebbe replicare ciò, essendo crocevia del Mediterraneo con una predisposizione intrinseca alla multiculturalità e avendo una squadra di successo che funziona da vetrina. Questo potrebbe generare un reale impatto, attraendo talenti che investono un periodo di tempo prolungato di formazione nella città e sono incentivati a legarsi a essa. La vera ricchezza sarebbe inoltre nella “creazione” di calciatori poi venduti all’estero».

Sfruttare l’attrattività della città per attirare talenti che creino ricchezza anche in altri settori, discorso che vale per tante industrie. Si potrebbe dire però che il Napoli già lo faccia, investendo in tanti calciatori semi-sconosciuti che poi si rivelano di successo?
«Sì, ma lo fa solo per necessità, senza nessuna strategia. Il Napoli potrebbe andare tranquillamente avanti senza guadagnare dal calciomercato, si trova in una comfort zone essendo l’unica non indebitata. Per ragionare in questi termini serve invece una visione di lungo termine, tipica di un fondo sovrano o di una grande multinazionale».

Eugenio Izzo

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