In un momento storico in cui lo sport sembra tornare a essere specchio – e talvolta leva – della trasformazione urbana, il caso Napoli merita attenzione. Da società sull’orlo del fallimento a impresa sportiva in attivo, capace di coniugare risultati in campo e gestione virtuosa, il club partenopeo è diventato un simbolo di riscatto e modello organizzativo. Ne abbiamo parlato con Massimiliano Gallo, direttore del Napolista e voce autorevole del giornalismo napoletano, per capire se davvero il calcio possa contribuire alla costruzione di un’identità urbana moderna e vincente.

Il successo del Napoli degli ultimi anni è più merito del campo o della scrivania?
«Della scrivania. Il campo è una conseguenza della scrivania. Non c’è una grande squadra di calcio senza una grande società. De Laurentiis, dopo ventuno anni, ha vinto su tutta la linea: è stato il primo a comprendere che nel calcio era finito il tempo del mecenatismo. Ha capito che il calcio non era più il giocattolino dei ricchi ma un settore economico vero. Ha costruito un’azienda forte. Oggi il Napoli è più solido economicamente di Juventus, Milan e forse anche dell’Inter. Il nuovo Asterix che difende il suo Napoli in un mare di soldi arabi e di fondi. Con programmi quinquennali ha portato il Napoli dalla Serie C allo scudetto. Spalletti, Osimhen, Conte: senza di lui, non sarebbero mai arrivati».

Quali sono gli aspetti più innovativi della sua gestione?
«Ha cambiato il modo di raccontare il calcio. Ha imposto un linguaggio da impresa: ammortamenti, plusvalenze, bilancio attivo. All’inizio i tifosi dicevano “noi non siamo commercialisti”. Oggi esultano per una cessione ben fatta. È una vittoria culturale. Poi ha un talento raro: conosce profondamente le persone. La scelta degli allenatori per lui è come un film: lui è regista e produttore. Ha scelto quasi sempre bene. Questo deriva dalla sua esperienza nel cinema».

Può il calcio, quando gestito con visione, contribuire alla crescita civile ed economica di una città?
«Sì. Il Napoli oggi non è più in riscatto: è già riscattato. Ha identità, ha appeal. Lo dimostra l’America’s Cup. Il boom turistico c’è, e in questo il club partecipa alla potenza attrattiva della città. Napoli è cambiata rispetto agli anni ’80. I festeggiamenti per lo scudetto sono stati civili, ordinati. C’è maturità. Anche il calcio contribuisce a sfatare stereotipi».

Ci sono altre città italiane che hanno beneficiato del calcio come asset urbano e culturale?
«Forse solo Milano, all’epoca dei calciatori-brand. Forse Cagliari ai tempi di Riva. Ma nessuna ha la forza mitica di Napoli. Solo Liverpool, all’estero, è simile: calcio e identità culturale. Napoli ha Maradona. Ancora oggi, dopo trentacinque anni, è sulle bandiere».

Che rischi vedi per la sostenibilità di questo modello?
«Il rischio è l’onnipotenza, come dopo il primo scudetto. De Laurentiis si è inebriato del successo. È un uomo che si annoia nella calma. Ma oggi è maturato. Non credo che il Napoli farà passi falsi. Il pericolo è pensare di essere invincibili. Ma lui dà il meglio nelle difficoltà».

Che ruolo hanno avuto i tifosi in questa narrazione?
«All’inizio lo hanno osteggiato. A.D.L. bagarino, vattene. Ma lui imponeva una visione imprenditoriale. Diceva: se non sono i tuoi soldi, non puoi dire “caccia i soldi”. Ora è rispettato. Non amato, forse, ma rispettato. Oggi il tifoso capisce la gestione, compra il biglietto, si abbona. Il clima è molto più sereno. La massa silenziosa ora lo segue».

Il modello De Laurentiis può ispirare altre realtà imprenditoriali del Sud, anche fuori dal calcio?
«Assolutamente sì. Ha tracciato una rotta alternativa all’asse Milano-Torino. Ora vediamo Atalanta, Bologna, Fiorentina. È capofila di una nuova geografia del potere calcistico. Ha fatto crescere club che puntano su bilanci solidi e sostenibilità. Ha cambiato anche la percezione all’estero: oggi i giornali stranieri parlano tanto di Napoli».

Una parola per definire De Laurentiis?
«Disruptive. Ha rotto con tutto. Ha vinto con il potere economico, non con la fantasia. Ha preso Conte, l’allenatore più pagato in Italia, quando nessun altro poteva permetterselo. Ha imposto rigore, metodo, visione. È stato razionale anche quando era sopra le righe».

Un suggerimento alla città di Napoli per capitalizzare lo scudetto?
«Seguire il suo metodo. Basta con l’idea che Napoli debba vincere grazie all’estro o alla simpatia. De Laurentiis è anche antipatico, ma ha un progetto. Ha avuto pazienza, costanza, visione. Napoli deve fare lo stesso. Senza fretta, ma con determinazione».