Clamoroso allo studio di Sky prima che al Cibali, allo Stadium di Torino, all’Olimpico di Roma. Clamoroso che un giornalista riprenda in mano il racconto dello sport – che ahinoi vuol dire quasi sempre e solo calcio – nel Mucchio Selvaggio di vecchie glorie in tivù. Sandro Piccinini, quello della “sciabolata morbida” e del “brivido!”, è passato a inizio della stagione a SkySport. Per il momento niente più telecronache, come a Mediaset: opinionista invece, al lato di Fabio Caressa, e tra difensori ed estremi difensori del calibro di Beppe Bergomi, Billy Costacurta e Luca Marchegiani.  “Una scommessa”, l’aveva definita. È andata che a tre mesi dall’esordio si è preso il ritmo dell’azione, il pallino del gioco in mano, allo Sky Calcio Club e al relativo Senza Giacca.

Ormai quello che dicono nelle scuole di giornalismo, ai master, a chi vuole raccontare lo sport, appena arrivano e si siedono, è: meglio se sei un ex calciatore, ancora meglio se sei un ex calciatore piuttosto famoso. E infatti basta dare un’occhiata tra Sky, DAZN, Mediaset e poi all’estero, per ritrovare i protagonisti del campo di una volta ora a discettare e a spiegare come nessuno potrebbe fare meglio certe dinamiche del campo, per l’appunto. Non che manchino le firme in tv: Paolo Condò sopra tutti, unico italiano a votare per il Pallone d’Oro, da anni nella squadra di SkySport. Piccinini, essendo new entry, marca però la differenza dal salotto di Caressa, che ha avuto il merito di portare nella serata della domenica una voce che mancava a quel tavolo, una sfumatura in più.

E non è un caso che (prendiamo l’esempio di ieri) sia stato lui a spiegare l’ingarbugliato caso (mica ha paura di trattare le tematiche più delicate) Suarez-Juventus-Paratici ; sempre lui a sciogliere l’affaire Eriksen-Conte tutto dell’Inter; e ancora lui, sulla condizione del deludente Paulo Dybala di inizio stagione, a opinare che se finora ci siamo detti che non era in forma, ora dovremmo chiederci: perché non è in forma? Che in fondo qual è il mestiere del giornalista se non quello di farsi e fare delle domande e quindi trovare o quantomeno cercare delle risposte? Altro che bomberismi vari, altro che i post dei calciatori su Instagram, altro che le veline delle società.

Piccinini c’aveva provato, con il calcio giocato, salvo poi smettere. Figlio d’arte (il padre Alberto collezionò anche 5 presenze in Nazionale), ha lasciato a 17 anni, a quanto pare sentendo di non avere i colpi del mestiere. C’è riuscito, a farcela sempre nel calcio, da un altro lato. L’ultima telecronaca il 16 luglio 2018: la Finale dei Mondiali di Russia tra Francia e Croazia. L’addio a 34 anni in Mediaset, molti al racconto in viva voce e in diretta. Suo anche Controcampo: predecessore di numerose trasmissioni televisive sul calcio dal parterre variegato e composito, con starlette e intellettuali e comici e sportivi, naturalmente. E suo anche un vocabolario tutto personale di “prova … non va!” e “fischi per lui!” e del “rimessa laterale per lui, Nando Sanvito per noi” e via dicendo. Per anni, e ancora oggi per molti, un vocabolario trattato alla stregua della macchietta, e invece esempio – più o meno accattivante, più o meno gustoso – di sintesi e creatività narrativa. Non un dettaglio: esistono pochi traguardi più alti, per chi lavora con le parole, di inventarsi un proprio linguaggio e per quello essere ricordato.

Insomma: quando Piccinini viene interpellato e interpella vecchie e nuove glorie; mentre spiega qualcosa di complesso rendendolo meno difficile per gli spettatori; quando ammicca e lascia intendere di avere proprie fonti che vai a capire; tutte queste volte, quello della “sciabolata morbida” dà una speranza a tutti gli adolescenti o giovani aspiranti o irriducibili che insistono da anni in questo sporco lavoro che qualcuno deve pur fare, che non è necessario aver giocato in serie A per diventare giornalisti sportivi. E pure di un certo livello. Considerando poi questi anni di club blindati, contatti ridotti al lumicino e atleti intoccabili e inarrivabili più di politici, è ancora più “‘ccezionale!

Antonio Lamorte

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