Nessuno scandalo
Oscenità ed esibizione fallica, i segni caratteristici del Pulcinellla delle origini presenti nell’opera di Pesce
Un abito-contenitore, ecco cos’è la scultura “Tu si ’na cosa grande”. Un’opera d’arte moderna che rappresenta la maschera figlia delle Fabulae Atellanae nei suoi tratti più tipici
L’opera d’arte moderna o piace o non piace. Spesso lascia perplessi e talvolta incapaci di percepire cosa ci sia dietro l’ispirazione che ha portato l’autore a realizzarla, a definirne i tratti molto spesso astratti, informali, non plastici, non figurativi, insomma.
Ne è prova, oggi, il clamore mediatico suscitato dall’installazione “Tu si ’na cosa grande”, un’opera d’arte moderna che rappresenta Pulcinella così come immaginato dall’autore Gaetano Pesce, realizzata dopo la sua morte ed esposta in piazza Municipio a Napoli. A chi ha dimestichezza con la letteratura pulcinellesca, vasta e infinita, di certo non sarà sfuggita la riflessione del grande filosofo Benedetto Croce: «Chi si ostina, dunque, a dare la definizione del Pulcinella… c’è il rischio che non gli resti in mano altro che un nome e un vestito».
Ecco, è proprio quello che sarà visibile a Napoli fino al 19 dicembre: un nome e un vestito alto 12 metri, come un obelisco, un faro-totem. E il senso della scelta del “camicione” per Gaetano Pesce non rappresenta una scorciatoia, ma il segno più tangibile e concreto per ammonire sulla complessità di una maschera globale, internazionale. È il segnale più evidente di una costante diacronica: quella di un abito-contenitore capace di inglobare infiniti contenuti. Compresi i temi relativi all’oscenità e all’esibizione fallica, che sono stati i tratti apotropaici più caratteristici del Pulcinella delle origini, discendente dalle Fabulae Atellanae, sublimati, poi, nelle metafore allusive del naso adunco, prominente o del corno e del coppolone. E finanche il mantello variopinto, che sovrasta quello bianco, non deve sorprenderci. È l’abito che fu fatto indossare a Pulcinella in una farsetta musicale nel 1817 per irridere la “moderna furfanteria dei plagiatori d’arte”.
Ci deve scandalizzare, piuttosto, questo curioso falso puritanesimo, questo perbenismo di ritorno che chiude un occhio sulla vastità delle indecenze quotidiane e urla al peccato quando è l’arte a pronunciarsi. Una preoccupazione presente e comune anche nelle riflessioni dei sei giovani emigrati napoletani interpellati da il Riformista.
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