Il commento
Perché commentare i processi politici in corso non è cosa facile per nessuno

Commentare i processi politici in corso non è cosa facile per nessuno. E, purtroppo, la tentazione di un approccio predittivo tendente a cogliere tratti essenziali, anticipatori di possibili conclusioni storiche di questi processi, è sempre molto forte. Così, come in politica, anche nella sfera della pura osservazione, la prudenza è d’obbligo. Un obbligo imprescindibile se l’oggetto è il nuovo mondo globale, per comprendere il quale ogni antecedente “bussola” è, se non in tutto, in gran parte starata.
Del resto, se non fosse così, il “mondo nuovo” sarebbe già un mondo passato. Invece, la prima difficoltà per una osservazione obiettiva di questo nuovo mondo globale è la imprescindibile ampiezza geografica dell’oggetto, a cui fa seguito il numero sempre più corposo dei soggetti statuali e nazionali in gioco, il numero e la diversità dei conflitti in atto e la diversità degli interessi economici non sempre riconducibili agli stessi attori di un tempo. Ma ciò non esime chi, come questo giornale, vuole profondere un qualche barlume di ottimismo dal farlo, senza adagiarsi, in posizione post-prandiale, a scolorite connotazioni catastrofiste di spengleriana memoria, perché, pur con lo zaino pieno di vecchi e nuovi problemi… “siamo ancora qui”.
Siamo dove, nel giro di 4 o 5 mesi, troviamo mister Trump in ogni punto del globo. E allora ci rendiamo conto che il proposito di assumere l’antica propensione isolazionista di una parte politica degli Stati Uniti, come orientamento fondamentale della sua politica internazionale, fosse del tutto infondata. O, non avevamo capito niente noi, o non aveva capito niente lui. L’America non può isolarsi. Ma può disimpegnarsi dalla difesa dei principi contenuti nel Patto Atlantico (1949)? Sembrerebbe di no. Non solo per una questione giuridica, cosa di non poco conto – come nella ventilata occupazione militare della Groenlandia ai danni di uno dei firmatari di quel patto – ma anche perché non sei al global-supermarket, per cui ti compri l’Ucraina e il suo sottosuolo, o te lo spartisci con l’orso orientale. Se vuoi un po’ di minerali di quel Paese devi sottoscrivere un regolare contratto con l’Ucraina (come è avvenuto), e ti impegni poi a difenderne i suoli e i confini.
Da solo? No, con una Unione Europea in procinto di rammodernare il proprio apparato di difesa e con Macron, Merz, Tusk, Starmer, Zelensky e qualcuno a telefono perché, vivadio, hanno inventato anche i telefoni, che si propongono di costituire di fatto il prodromo di quella difesa comune europea tanto auspicata. E… Starmer tra questi? E la Brexit? Non è il suo superamento, ma si intravede il suo afflosciamento. E Gaza? Sembra che per il momento mister Trump debba rinunciare a cacciare i palestinesi per riempire il litorale di quella terra con sdraio e ombrelloni, con sé stesso e Musk a farla da padroni del lido.
Adesso, si è impegnato a portare e distribuire aiuti a quel popolo. Intanto a Mosca hanno sfilato per la memoria della vittoria contro l’invasione nazista. Ben una ventina di capi di Stato, o poco più, rispetto ai 198 del globo, hanno portato il proprio saluto a Putin. Secondo le TV russe, un grande successo che dimostra che la Russia non è isolata. A Roma, il matematico e filosofo Robert Prevost diventa Papa e parla di pace, e dice di aver capito che è in corso a livello mondiale una nuova rivoluzione industriale: quella della IA. Si costituirà mai quella alleanza di autocrati che, sulle ceneri dell’Occidente, vorrebbe spartirsi il globo e oltre? Non è detto. E allora, “allons enfant… allons enfant… dell’Europa… il giorno di gloria potrebbe anche arrivare”.
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