Daremmo volentieri un dieci con lode ai parlamentari della delegazione del Pd che il 12 gennaio scorso sono andati a visitare il carcere di Sassari e il suo reparto dove son rinchiusi i detenuti nel regime speciale previsto dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario. Naturalmente la loro visita vale di più se i tre deputati Debora Serracchiani, Andrea Orlando e Silvio Lai, oltre al senatore Walter Verini non si sono limitati a incontrare Alfredo Cospito, l’anarchico che sta ingaggiando un pericoloso braccio di ferro con lo Stato con un digiuno protratto ormai da oltre cento giorni per protestare contro la tortura del 41-bis.
Non è eccessivo parlare di “tortura”, perché l’isolamento previsto dalla detenzione “impermeabile” porta a un degrado fisico e psichico che a lungo andare può essere mortale. Fondamentale quindi che anche i rappresentanti del Parlamento, oltre al ministro della giustizia Carlo Nordio, siano impegnati a monitorare le condizioni di salute di un prigioniero che sta sfidando la morte nel nome di un principio. Sarebbe importante che lo facessero anche i parlamentari della maggioranza, magari anche lo stesso Giovanni Donzelli che ha lanciato ai colleghi del Pd una sfida un po’ sprecata e controproducente nel chiedere loro da che parte stanno, visto che sono andati in carcere a trovare un sovversivo, colpevole anche di aver chiacchierato nell’ora d’aria con alcuni mafiosi, del resto gli unici che abbia possibilità di incontrare nel regime di 41 bis.
Ma va anche detto che forse i parlamentari del Pd hanno un po’ sprecato il proprio tempo e la loro visita al carcere, dal momento che si sgolano e si sbracciano, ogni ora e ogni minuto a dichiarare quanto siano entusiasti di questa forma di detenzione speciale cui è sottoposto tra gli altri Alfredo Cospito. Se volevano solo misurare la pressione all’anarchico, potevano lasciarlo fare al medico preposto. Ma ben altro avrebbero potuto fare e denunciare. Per esempio verificare concretamente, guardando e toccando con le proprie mani e i propri occhi che cosa vuol dire essere privati di tutto, e non solo della libertà. Se sono così entusiasti del regime del 41-bis, hanno veramente sprecato un viaggio. Del resto uno di loro, Andrea Orlando, è quello che da ministro ha lasciato in carcerazione speciale un vegetale, cioè il corpo di Bernardo Provenzano, ex feroce capomafia ma non più persona, nel 2016.
Lo ha lasciato lì, nel reparto adibito al 41-bis dell’ospedale S. Paolo di Milano, nonostante che, con il parere favorevole di tre procure, il primario Rodolfo Casati avesse suggerito di trasferirlo, nello stesso ospedale, in un reparto per lungodegenti. Invece il corpo è rimasto due anni in quel buco, ridotto allo stato vegetale e sorvegliato da 28 agenti. E il ministro aveva sfidato il senso del ridicolo sostenendo che il detenuto era “…destinatario di varie missive dal contenuto ermetico, cui spesso sono allegate immagini religiose e preghiere, che ben possono celare messaggi con la consorteria mafiosa”.
Ogni deputato e ogni senatore, di qualunque posizione politica, dovrebbe sapere che più che un diritto è un dovere, quello dei parlamentari di andare a visitare le carceri. Perché mettere il naso dentro le istituzioni totali, siano le prigioni piuttosto che gli istituti psichiatrici, per verificare lo stato di salute degli ospiti, vuol dire spesso aiutare a migliorarne le condizioni. Ed è un dovere dei rappresentanti dei cittadini soprattutto denunciare in ogni sede ogni situazione che violi l’articolo 27 della Costituzione, che impone la dignità della persona, anche quando privata della libertà, e la salvaguardia della sua salute mentale e fisica.
Il caso più clamoroso della storia italiana degli ultimi trent’anni è stato quello della riapertura delle carceri di Pianosa e Asinara, dove nel 1993, in seguito alle stragi mafiose culminate negli assassinii di Falcone e Borsellino, furono sbattuti alla rinfusa, dopo esser stati prelevati nella notte in pigiama o anche senza, detenuti da tutti gli istituti del sud, in gran parte in attesa di giudizio. Una vera deportazione, quella notte. E torture di ogni genere furono verificate da quei pochissimi deputati che ebbero la forza di sfidare il conformismo vigliacco “antimafia” che pervadeva la società politica dopo i fatti tragici accaduti l’anno prima. Furono utilissime, quelle visite e quelle denunce, che portarono anche a diverse condanne nei confronti dell’Italia da parte della Cedu.
Dalle finte esecuzioni all’alba fino agli sputi, e la minestra piena di vermi e pezzi di vetro, e l’acqua arrugginita e non potabile, e la doccia irraggiungibile e la mancanza di biancheria e indumenti di ricambio: questo era il quadro di base della situazione in quell’estate a Pianosa e Asinara. Per non parlare delle ferite e tumefazioni sul corpo dei detenuti dovute alle botte della “squadretta” addetta alle punizioni. Altroché, se furono utili quelle visite! Sarà bene ricordarsene sempre.