Per un Paese come l’Italia che ha avuto e continua ad avere serissimi problemi nel rapporto tra giustizia e politica e ancor più nella perversa relazione tra magistratura e una parte della stampa, la notizia è oggettivamente ghiotta, oltreché vera: i magistrati hanno infatti confuso in una intercettazione relativa alla “Operação Influencer”, come è stata ribattezzata dalla stampa portoghese l’inchiesta, Antònio Costa, primo ministro dimissionario, e Antònio Costa Silva, che del suo governo era ministro per lo sviluppo economico. E mentre il Portogallo si avvia ad approvare la legge di bilancio e poi ad andare alle elezioni, ci si domanda cosa sarebbe successo se questo errore non fosse stato fatto e se al contrario non fosse stata necessaria più cautela da parte di tutti.
Certo, l’inchiesta va avanti. Prende di mira l’appalto dato ad una società costituita pochi giorni prima per l’estrazione di litio in una miniera nel nord del Paese, nel comune di Montalegre, un progetto di hub industriale per la produzione di idrogeno verde nella città portuale di Sines, dove era anche prevista la costruzione di un imponente data center ad energie rinnovabili. Sarebbe proprio quello del data center il progetto su cui c’è stata la telefonata di cui si parla da giorni: nel colloquio di agosto 2022 un consulente dell’azienda parlando con il suo amministratore delegato gli disse che avrebbe interessato Antònio Costa per risolvere un problema burocratico che avrebbe potuto impattare sui finanziamenti europei. Peccato che si riferiva al ministro, e non al primo ministro.

La giornata di ieri non è stata particolarmente positiva per la procura, dopo essere stata messa alla berlina per via della telefonata: il giudice istruttore ieri ha disposto di non venire incontro alle richieste del procuratore, di rilasciare i cinque indagati che erano detenuti e di togliere la corruzione dai capi d’accusa, lasciando solo quello più leggero del traffico di influenze. A beneficiare del provvedimento del giudice sono stati il sindaco di Sines, gli amministratori della società Start Campus, l’ex capo di gabinetto del primo ministro, nel cui ufficio sono stati scoperti in una perquisizione 75mila euro in contanti nascosti anche in casse di vino, ed infine l’avvocato Diogo Lacerda Machado, amico e consigliere del primo ministro Antònio Costa. Sempre nella giornata di ieri si è dimesso João Galamba, ministro delle infrastrutture, anche lui indagato nell’Operazione Influencer: “ho presentato le dimissioni per assicurare alla mia famiglia la tranquillità e la discrezione cui hanno inequivocabilmente diritto”, ha dichiarato nella lettera di dimissioni, precisando che da parte sua non c’è alcuna “ammissione di responsabilità” sull’inchiesta giudiziaria.

In ogni caso, comunque finisca l’indagine, il danno d’immagine è rilevante innanzitutto per il Partito Socialista, al potere da molti anni in Portogallo. I primi sondaggi dopo le dimissioni di Costa danno infatti un fortissimo calo del suo partito che non solo non avrebbe più la maggioranza assoluta in parlamento di cui attualmente gode, ma farebbe pure fatica a formare una maggioranza coi suoi alleati di sinistra. In ascesa, invece sia i popolari del PSD, partito storicamente di centro-destra, sia i nazionalisti ed euroscettici di estrema destra di Chega, una formazione nata solo quattro anni fa. E sembra ormai certo che l’indagine sbarri la strada alla nomina, dopo le elezioni europee, di Antònio Costa a Presidente del Consiglio, nomina nella quale i socialisti europei riponevano grandi speranze. Se poi l’inchiesta alla fine si rivelerà o meno un bluff e se noi italiani avremo un altro Paese con cui consolarci per un rapporto malato tra politica, stampa e giustizia, basta aspettare che la procura mostri definitivamente tutte le carte che ha in mano e si arrivi al processo.

 

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva