I dossier, che inizialmente fornivano istruzioni per l’addestramento delle unità militari coinvolte sono ormai superati, ma aiutano a svelare una strategia che a Mosca avevano già intavolato, caratterizzata dalla massima disinvoltura nell’utilizzo di qualsiasi mezzo ritenuto utile per raggiungere i propri obiettivi militari, compreso quindi il nucleare. I documenti segreti risalenti a dieci anni fa, ottenuti divulgati in questi giorni dal Financial Times suggeriscono quindi che la Russia contemplava l’impiego di armi tattiche non solo in risposta a un attacco atomico, ma anche in situazioni di gravi difficoltà militari, come un’invasione del territorio o la perdita del 20% dei sottomarini armati di missili balistici.

Il simulatore di esplosione nucleare

Files che si aggiungono al rapporto fornito dall’agenzia Tass che ha recentemente diffuso la notizia della creazione di un “simulatore di esplosione nucleare”, brevettato dagli scienziati dell’Accademia militare “Generale Khrulev” e basato su un’avanzata tecnologia frutto di tritolo, liquidi infiammabili e sostanze chimiche: non emetterà radiazioni ma permetterà di preparare le forze terrestri per operazioni nelle ipotetiche condizioni causate dallo scoppio di una testata nucleare tattica. Un pericolo o un’eventualità che Putin considera quindi non impossibile.

E la notizia, se letta tenendo conto dei documenti proposti dal Financial Times allarga nettamente gli scenari prospettati dalle norme stabilite dal presidente Putin che circoscrivono l’uso della bomba a due casi: quello in cui il Paese venisse attaccato con gli stessi ordigni da un’altra potenza oppure quando l’esistenza dello Stato fosse in pericolo. E nel dossier si fa menzione di un esempio preciso: l’invasione cinese e il conseguente ricorso all’atomica per respingere una eventuale seconda ondata, nonostante oggi i rapporti con Pechino siano buoni.

Duemila bombe atomiche

La Russia dispone attualmente di duemila bombe atomiche tattiche di potenza limitata, utilizzabili in teatri di guerra specifici senza innescare un conflitto globale, mai utilizzate dopo aver attentamente valutato il rischio di provocare una reazione diretta dagli Stati Uniti o dalla Gran Bretagna. Altre situazioni a cui si fa riferimento, e altri possibili scenari d’utilizzo riguardano invece la distruzione del 30% dei sottomarini nucleari d’attacco, la perdita di incrociatori o aeroporti militari, o un attacco simultaneo su centri di comando terrestri o sulla costa.

Redazione

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