Ma qual è il motivo profondo per cui è così difficile richiedere e ottenere che i detenuti siano trattati decentemente? Qual è la ragione connaturata per cui non ci si preoccupa, e anzi spesso ci si compiace, del fatto che i detenuti “soffrano”? Da decenni penso alle cose della giustizia e in decenni ho cambiato molte convinzioni in proposito, ma una ho avuto da sempre e ho ancora.

E cioè che coloro ai quali ripugna l’idea che il detenuto possa ambire a qualche modestissimo miglioramento di vita non comprendono la preziosità del bene supremo di cui il detenuto, pur trattato meglio, è in ogni caso privato, e che loro invece, per quanto possano essere maltrattati dalla vita, hanno in ogni caso a disposizione: la libertà. Chi giudica superfluo, o magari offensivo, che al detenuto sia assicurato di vivere in una cella non affollata, di avere cibo accettabile e buone cure mediche, di disporre di spazi e strumenti di studio e svago, e momenti di intimità con parenti e persone care, e risente di tutto questo come se si trattasse dell’oltraggiosa concessione di privilegi ingiustificati, a tanto risentimento giunge perché non avverte “differenza di stato” tra sé e il detenuto. Se il recluso “sta bene”, allora non c’è più nessuna differenza rispetto a chi è libero, perché a far differente la condizione dell’uno da quella dell’altro non c’è, perché non ha nessun valore, la libertà disprezzata di chi sta fuori e quella soppressa di chi sta dentro.

Se la libertà non vale nulla per chi guarda il detenuto, allora questi, perdendo la libertà, non ha perso nulla. Se la libertà di cui può disporre chi guarda il detenuto non è abbastanza a determinare la sensazione di una differenza di stato incommensurabile, allora occorre che quelle due esistenze siano divise, distinte, riconoscibili, a causa di afflizioni supplementari e di altro tipo a carico di chi sta in prigione. Per questo si vuole che il detenuto “soffra”. Perché, se non soffre, condivide in modo solo diverso ma ugualmente trascurabile una stessa mancanza, la mancanza di libertà: la libertà senza valore di cui uno è privato, e quella altrettanto svilita di cui l’altro non sa godere.