Caro direttore, ti scrivo questa lettera di rispettoso dissenso sul titolo di apertura e testo (di Luca Casarini) della prima pagina del Riformista di sabato 10 settembre. Non intendo dissentire dal testo di Casarini che esprime le sue opinioni, ma del combinato disposto tra titolo e testo che compongono un poco accettabile effetto speciale. Il titolo era: “Mamma, ho sete… Poi è morta. Ora parlateci della regina”.

La regina in questione è Elisabetta, morta e al centro dell’attenzione mondiale. Ora, va bene che, come avrebbe detto Giovan Battista Marino, “è del giornalista il fin la meraviglia”, che parlava di poeti, i media dei suoi tempi. E ho pensato: eccolallà, abbiamo sparigliato: è lo spariglio fra banalità e sorpresa che è l’arte del nostro mestiere. Anche essere faziosi e asimmetrici, per carità, va benissimo. Poi ho letto il pezzo. Poi di nuovo il titolo. E come molti lettori amici mi sono chiesto e chiedo anche a te, gentile (e tollerante) direttore, se fossero davvero il coraggio e la verità a suggerire quell’ingenua, troppo ingenua e anche populista accoppiata della regina cattiva e della bambina buona, unite nella data della morte ma separate dai ruoli di vittima e di persecutrice.

È davvero possibile che se tira le regali cuoia una donna di 96 anni che si è ritrovata sul gobbo senza averlo chiesto il mestiere di capo dello Stato, noi la mettiamo in simmetrica opposizione con la morte di una bambina di quattro anni su uno dei barconi che partono dall’Africa in cerca di approdi insicuri? Di che cosa sia morta la piccola Loujin messa dai genitori sulla barca della fortuna o della morte, non si sa. Ma certamente si tratta di sofferenze atroci perché le autorità di Malta non consentono approdi a chi tenta la sorte nel Mediterraneo.

Ma che c’entra la regina Elisabetta? Lo spiega l’autore: “Avanti, parlatemi della Regina. Del suo Castello, dei suoi amati cavalli. Dei suoi cani. Delle 700 stanze di Buckingham Palace”. All’indignata invettiva segue una breve storia dell’universo in cui si caricano sulle spalle della defunta i massacri in Irlanda, la morte di Diana, il colonialismo, i rapporti col dittatore Pinochet e l’insignificanza del fatto che Elisabetta si oppose, senza averne il potere, a Margaret Thatcher, suo primo ministro che tifava per il regime sudafricano mentre Elisabetta era schierata con Nelson Mandela.

Mi è tornata in mente la canzone di Jannacci Ho visto un re che diceva: “Ho visto un re che piangeva tante lacrime seduto sulla sella che bagnava anche il cavallo”. Il coro commentava: “Povero re. E povero anche il cavallo”. Era una ballata degli anni Sessanta sui potenti e le teste coronate, che dominavano un mondo abitato da poveri villani cui era vietato piangere: “E sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al re. Fa male al ricco e al cardinale, diventan tristi se noi piangiam”. In Italia i re ci hanno fatto piangere molte volte: da Umberto Primo che autorizzò il generale Bava Beccaris a cannoneggiare gli affamati, a Vittorio Emanuele che tradì i suoi cittadini firmando leggi che condannavano all’apartheid gli italiani ebrei.

Figurati quanto ce ne frega a noi tutti di re, regine, duchi e arciduchi: probabilmente tanto quanto a Luca Casarini importi degli stucchi dorati di Vladimir Putin e della sua corte di arciduchi oligarchi e di tutte le nomenclature cinesi, coreane, o venezuelane. Certo, i re e le regine (siamo finalmente informati) non sono stinchi di santi e di sante e anzi sono discendenti dei peggiori assassini e mascalzoni e tiranni. È verissimo, ma penso che sia anche la nostra stessa sorte: ciascuno di noi viventi è discendente di chi è sopravvissuto e non di chi ha perso. Così, caro direttore, ti ho scritto un messaggio in cui ti esprimevo la mia sorpresa per un uso semplificato della retorica, quanto basta per offendere memoria e storia. E tu mi hai risposto: “Ma perché la retorica è consentita e la controretorica no? Anzi, la controretorica indigna? E poi dichiamo la verità: la regina è un personaggetto buffo e insignificante. Ricordi una sua decisione, un suo discorso, un suo grido?”.

Ti rispondo, caro Direttore che hai ragione: una bambina sequestrata per diventare capo di Stato perché suo zio ha mollato il trono per correre con la moglie ad abbracciare Hitler a Berlino, è un personaggetto di nessuna statura, una piccola controfigura della storia. Tuttavia, un discorso di questa piccola insignificante persona lo ricordo: era ancora una ragazzina e con sua sorella Margaret parlava ai microfoni della Bbc a tutti i bambini costretti a fuggire nelle campagne mentre Londra era bombardata dai nazisti padroni d’Europa e che assediavano l’Inghilterra. Quell’Inghilterra della piccola bambina e del suo primo ministro Winston Churchill che prometteva lacrime e sangue. Lei, l’esserino banale e insignificante, incitava i suoi coetanei a resistere al nazismo e ad accettare i sacrifici della resistenza, in controtendenza rispetto a Giuseppe Stalin che, a nome dell’intera umanità comunista (i telegrammi sono sulla Pravda) si congratulava con Hitler per le sue vittorie. Erano piccoli discorsi, pronunciati con voci ancora infantili, ma erano e restano l’orgoglio non soltanto degli inglesi. Non so quanto orgoglio si potesse misurare dall’altra parte dove non era ancora chiara la differenza fra nazionalsocialisti e comunisti sovietici. Desidero esprimerti la mia gratitudine e penso anche di qualche lettore per avermi dato come è tua abitudine la possibilità di esprimere delle perplessità che non credo siano soltanto mie. Grazie di cuore.

La replica del direttore Sansonetti – La morte della regina Elisabetta e quella della bimba migrante: due esempi di cattivo giornalismo

Avatar photo

Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.