Stravedo per Antonella Elia, trovo nella ragazza verità e ironia, e anche una dose di talento teatrale televisivo; i tempi giusti, il gesto della mano a taglio a completare il concetto in procinto d’essere espresso, le invettive, mani ai fianchi. Averla “dirimpettaia” nello studio del “Grande Fratello Vip” a Cinecittà, è per me motivo di gioia, di più, di immenso umano sollievo. Concorrente ormai “eliminato” sto lì seduto come una salma comunque retribuita, lei, Antonella, in abito notturno da cenerentola “opinionista”, ho modo di scorgerla in linea d’aria.

Così cerco il suo sguardo, sospirando complicità, e lei risponde al mio cenno muto, ci capiamo al volo, la soubrette e l’intellettuale ultra-radical chic, un miracolo. La affianca il meraviglioso Pupo, e anche verso di lui ho sviluppato una sincera amicizia, ma quest’oggi è di Antonella Elia che occorre parlare. Dell’apprezzamento che sento per lei nel contesto del GF Vip, un format casalingo concentrazionario, popolato in massima parte da “nutrie”, creature assenti a ogni alito di curiosità culturale e, quel che è peggio, di ironia. Antonella davanti al golgota pop-glamour rappresenta davvero, come dire, un punto luce, per la sua irregolare naturalezza; l’indole fa il resto. La teatralità della signora Elia, magari l’ho accennato, nella storia della televisione leggera, non è stata studiata tanto quanto meriterebbe; Aldo Grasso, già che ci siamo, potrebbe prendere appunti.

Antonella Elia, torinese del 1963, rimasta orfana da bambina è cresciuta con i nonni, l’apprendistato negli spot pubblicitari, l’esordio in televisione nel 1990, valletta di Corrado Mantoni ne La Corrida. Poi il condominio adolescenziale e smorfioso di Non è la Rai, infine l’onere di affiancare Raimondo Vianello nella conduzione calcistica di Pressing. Dimenticavo, le è anche toccato in dono Mike Bongiorno, La ruota della fortuna. Antonella, insomma, sia pure in un ruolo gregario, non si è fatta mancare nulla, reality compresi: da L’Isola dei famosi al Grande Fratello Vip, appunto. La ragazza Elia, sia detto in breve, è tutto ciò cui altre pretendenti alla pienezza della fama (metti, Elisabetta Gregoraci, che brilla soprattutto in quanto ex coniugata Briatore) non potranno mai ambire, toccare, sfiorare.

Elia vi riesce per ironia, naturalezza e faccia tosta. Antonella, va detto ancora, suggerisce anche naturale “antipatia”, nel senso che taluni, o forse talune, le attribuiscono una non meno istintiva “cattiveria”, tendenza a mostrarsi conflittuale con le altre donne, un tratto spinoso, pizzuto, ostinato. Lo si è visto esattamente anche nell’attuale salotto del GF Vip, dove siede munita di quadernetto illustrato in copertina da un pipistrello: un diario-cahier de doléances nel quale, puntigliosamente, segna pensieri, splendori e miserie che la commedia umana del format, di volta in volta, le suggerisce, pronta a commentare con tono che le è proprio, tra studiata sventatezza e fiocina finale, mossa sempre (strano in un contesto finalizzato alla “strategia” di sopravvivenza spettacolare, caratteristica propria dei reality, dove i concorrenti usano le armi, anche le più meschine, dell’utile menzogna), proprio da un bisogno di verità.

Va da sé che Antonella Elia ha percezione esatta delle bassezze altrui, ne avverte ogni soffio dalla sua postazione privilegiata, una poltrona in cima a una predella circondata da palloncini argentati, come in una celebre installazione di Andy Warhol. Lì in mezzo sembra di vederla brillare nella sua biondezza… Ora che ci penso, l’illuminazione circa questa mia passione sconfinata per il suo talento scenico e televisivo mi è giunta, improvvisa, mentre provavo a cercarne il punto esatto. Antonella Elia riesce a riassumere in sé sia lo smarrimento inerme e infantile di Cappuccetto Rosso, in cammino nel bosco aguzzo della paura spettrale, sia le zanne e lo sguardo del lupo crudele, pronto a sbranare la nonna in attesa di completare il pasto con la nipote in arrivo.

Sarebbe stata perfetta in un cameo tutto suo diretta da Federico Fellini, un qualcosa che mettesse insieme la metafisica sublime di “8½” e lo sguardo sullo spettacolo straccione e beota esattamente televisivo di “Ginger e Fred”, una sequenza dove Antonella Elia potesse unicamente mostrarsi lì a sbuffare, a mettere le mani ai fianchi, come a dire a se stessa e al mondo “… che pena, e che orrore, ma, soprattutto, io, Antonella, che ci faccio qui?”

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Fulvio Abbate è nato nel 1956 e vive a Roma. Scrittore, tra i suoi romanzi “Zero maggio a Palermo” (1990), “Oggi è un secolo” (1992), “Dopo l’estate” (1995), “Teledurruti” (2002), “Quando è la rivoluzione” (2008), “Intanto anche dicembre è passato” (2013), "La peste nuova" (2020). E ancora, tra l'altro, ha pubblicato, “Il ministro anarchico” (2004), “Sul conformismo di sinistra” (2005), “Roma vista controvento” (2015), “LOve. Discorso generale sull'amore” (2018), "Quando c'era Pasolini" (2022). Nel 2013 ha ricevuto il Premio della satira politica di Forte dei Marmi. Teledurruti è il suo canale su YouTube. Il suo profilo Twitter @fulvioabbate