L'intervista
Sabino Cassese: “È l’era dei negoziatori globali Stato-Big Tech, dialogo stretto”
Il giurista al Riformista: “Venuto a mancare un sistema Stato-centrico, si è costituita una rete, comanda la rete stessa. Prevale chi sa trattare, chi ha idee e sa formulare compromessi”
Giorgia Meloni vola da Donald Trump e Bloomberg parla di un accordo miliardario per la fornitura di tecnologia satellitare e di cybersecurity. L’accordo è stato smentito, ma il tema rimane. Davanti alle nuove sfide, la burocrazia antiquaria del nostro eterno Novecento non regge più. Abbiamo chiesto al professor Sabino Cassese di rispondere a qualche domanda sulla dicotomia sovranismo-globalismo. Cassese, già ministro della Funzione pubblica nel governo Ciampi e giudice della Corte Costituzionale, è autore di numerosi saggi tra cui il recentissimo Varcare le Frontiere, uscito con Mondadori.
Come incide la globalizzazione, e come cambia il sistema mondiale dei poteri?
«Per rispondere a questa domanda bisogna ricordare quello che ha scritto Habermas: la globalizzazione è una rete di relazioni che include anche la moda, le culture, la criminalità, il terrorismo. Ora quel punto di vista va anche allargato, perché vi sono anche le Big Tech, cioè poteri globali più potenti degli Stati, e più ricchi finanziariamente, ma privati. Per esempio, la globalizzazione è oggi considerata sotto il profilo dei regolatori, facendo riferimento all’Organizzazione delle Nazioni Unite, oppure all’Organizzazione mondiale del commercio, e quindi a tutti gli altri circa 2.000 regimi regolatori globali, non ai poteri privati. Va invece anche considerata sotto il profilo dell’area privata, delle Big Tech, che si sono sviluppate in una zona immune da regolazione e sono ormai diventate poteri più estesi e più finanziariamente potenti della maggior parte degli Stati».
Si parla di sovranismo contro globalismo. Lei spezza questa dicotomia, nei suoi scritti: sostiene che mai come con la globalizzazione gli Stati sono divenuti stabili e hanno ampliato la loro azione…
«Sovranismo e globalizzazione non si possono contrapporre. Ad esempio, l’Italia è un paese manifatturiero ed è importante, per la protezione dell’interesse nazionale, che abbia sbocchi fuori del mercato nazionale. Quindi, è spinta dall’interesse nazionale a far parte dell’Organizzazione mondiale del commercio. Ed è interessata anche a una sua espansione ed efficacia in tutto il mondo: così si cura nel miglior modo l’interesse nazionale. Tuttavia, così si sviluppa la globalizzazione e l’Italia stessa deve sottostare alle regole che l’Organizzazione mondiale del commercio detta».
Equilibri, clima, pace: le grandi sfide non consentono più agli Stati di esercitare il loro vecchio potere, né individuano nei grandi assetti multilaterali (Onu, Ue etc) soggetti adatti a intraprendere iniziative e ad assumere decisioni univoche in tempi rapidi.
«La domanda che lei mi fa pone una questione molto semplice: se i problemi sono diventati globali e non possono più essere affrontati a livello nazionale, occorre che le soluzioni vadano cercate su una dimensione più vasta, sovranazionale o globale. Quindi, non si può diminuire il riscaldamento del globo affrontandolo solo dal punto di vista di un singolo Stato».
Siamo europei. Però l’Europa va reinventata, così com’è non funziona. Quali passaggi, assetti, poteri darebbe a una Ue più forte, decidente, incisiva?
«L’Europa ha almeno tre problemi davanti. Il primo: è un gigante regolatorio ed è un nano finanziario. Deve quindi sviluppare il suo bilancio e così dotarsi di un’arma che hanno gli Stati ma non l’Europa, che consiste nel potere redistributivo. Secondo problema: la asimmetria dei suoi compiti, perché questi sono molto estesi, ma non in tutti gli ambiti l’Europa può decidere nello stesso modo e ha i medesimi poteri. Il terzo problema è quello dei processi di decisione, che sono lenti perché vi sono meccanismi, come l’unanimità, che, per garantire tutti, pongono lo stesso problema che fu studiato in passato da Rousseau, quello del “liberum veto” della dieta polacca, che fu la causa del ritardo della Polonia nello sviluppo».
Il sistema composito che prende gradualmente il posto di quello Stato-centrico è però privo di una sua governance: «chi comanda qui?», verrebbe oggi da chiedersi.
«A questa domanda ormai bisogna rispondere in un modo nuovo perché, venuto a mancare un sistema Stato-centrico, si è costituita una rete, comanda la rete stessa. Dunque, bisogna abituarsi a pensare a nuove forme di comando, non gerarchizzate, negoziali, contrattualizzate».
Sembra esserci un nuovo bisogno: quello di leader globali. Elon Musk, al netto dei giudizi, può essere un esempio di leader mondiale?
«Proprio per quello che ho appena detto, non bisogna più cercare leader globali, ma negoziatori globali. In un sistema come quello globale, governato da una rete, prevale chi riesce a contrattare meglio e a cercare il punto d’incontro, per ripetere il titolo di un libro, quello di Nicola Verola, di cui consiglio a tutti la lettura».
E quando parliamo di sistema composito dei nuovi poteri globali, quello dei media come è messo oggi? Possiamo ancora parlare di quarto potere?
«I media sono in crisi come è in crisi il meccanismo dell’opinione pubblica e quello dei partiti. Nello spazio pubblico ormai gli strumenti sono diversi e i media non sono riusciti a modificarsi per tener conto dei cambiamenti. L’assenza dei due grandi protagonisti dello spazio pubblico, i partiti e i media, produce gli sbandamenti che notiamo dell’elettorato e nelle formazioni collettive. La riflessione politologica e sociologica su questi argomenti è ancora agli inizi e sarebbe bene che la cultura si dedicasse maggiormente a capire quali modi nuovi possano esservi per la formazione di quella che una volta si chiamava l’opinione pubblica».
Il nostro governo rafforza le sue relazioni con alcuni leader su diversi scacchieri, dall’India all’Argentina, tenendo centrale il rapporto con gli Stati Uniti, alla vigilia della nuova presidenza Trump. Che ruolo può avere la piccola Italia nel nuovo mondo?
«Se prevale chi sa negoziare, non è forte solo chi ha un grande mercato o la bomba atomica, ma anche chi ha idee, sa individuare punti di raccordo, sa costruire alleanze, riesce a formulare compromessi. Per contare bisogna anche saper costruire buone relazioni personali, conoscere almeno tre lingue straniere, avere una certa durata nella carica, saper cogliere i tempi. Noi abbiamo avuto grandi scuole in questo senso nell’ambito nazionale, ma siamo stati deboli nell’ambito globale».
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