L’incontro fulmineo tra Donald Trump e Giorgia Meloni avvenuto a sorpresa nella residenza in Florida del presidente eletto, Mar-a-lago, ha sorpreso un po’ tutti e subito il bilaterale è stato collegato alla trattativa per la liberazione di Cecilia Sala. Notizia poi confermata ufficiosamente, benché in questo non servissero particolari conferme. L’incontro è stata l’ennesima occasione per cristallizzare i nuovi equilibri tra casa bianca e leader europei e soprattutto per confermare che è Giorgia Meloni l’interlocutore privilegiato della nuova Casa Bianca (l’insediamento di Trump sarà il 20 gennaio), dettaglio che era emerso già alla vigilia del voto americano e che forzosamente troppe volte si finto di non vedere.

L’occasione

Le stesse modalità della visita, informale e organizzata nottetempo, fanno ben intuire l’atteggiamento di Trump verso il governo italiano. Per Meloni è stata anche l’occasione per fare la conoscenza diretta del nuovo segretario di stato Marco Rubio, e dunque per stabilire già ora un contatto diretto con i vertici della nuova amministrazione. Il ruolo dell’Italia in questo momento è rafforzato dall’allinearsi di diversi fattori storici che hanno favorito la presidente del Consiglio rispetto agli altri leader europei. Perché se è vero che anche Milei, Orban e Trudeau hanno fatto visita a Trump, e altresì vero che l’unico europeo è stato Orban, che da Trump è di casa, ma che l’Ungheria non è l’Italia, e il ruolo che gioca Roma è ben diverso da quello cui può aspirare Budapest, anche beninteso nell’ottica dell’interesse americano.

La convergenza

Altri due fattori da tenere ben presenti solo dovuti alla convergenza “ideale” tra l’amministrazione Trump e il governo italiano, e dalla stabilità che oggi garantisce nelle relazioni l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, ad oggi l’unico governo europeo solido, stabile. Per la nuova amministrazione Usa la stabilità è cruciale in questa fase di riassetto internazionale, e l’Italia per la prima volta si trova nella posizione di giocarsi il proprio ruolo senza concorrenza tra gli altri paesi alleati in Europa.

Il caso Cecilia Sala e il ruolo degli USA

La questione Sala è prioritaria in questo momento per il governo italiano, e il ruolo degli Usa determinante, quanto rallentato dalla fase di transizione in corso, perché se è vero che fino al 20 gennaio è Biden il presidente, ed è la sua amministrazione che assume tutte le decisioni, è pur vero – come la storia ci insegna – che l’amministrazione uscente è in parte depotenziata e affiancata da quella entrante. Da qui il pressing di Meloni su Trump e Rubio, quest’ultimo è tra i falchi di Washington sui rapporti da tenere con il regime di Teheran.

Musk assente

Grande assente sul piano fisico è stato Elon Musk per la tristezza dei cronisti, ma la sua presenza in spirito e satelliti soprattutto non è mancata. Pare che sul piatto delle trattative ci fosse anche il contratto da 1,5 miliardi tra SpaceX e l’Italia per la fornitura di servizi di telecomunicazione sicuri, notizia rilanciata da Bloomberg, che parlava di una situazione in “stallo” fino all’incontro in Florida. I retroscena accompagnano sempre i bilaterali, soprattutto quelli improvvisi e mossi da necessità impellenti.

L’interlocutore di Washington

Al di là del caso Sala, Meloni ha ribadito a tutti e Trump ha voluto che il messaggio fosse chiaro che è Roma l’interlocutore di Washington dal 20 gennaio. Un messaggio chiaro anche all’Europa, intesa come Unione che per Trump & Co. per parafrasare Metternich è un “mera espressione geografica” e nulla di più. Dettaglio che dalle prossime settimane non dovrà essere sottovalutato, soprattutto da chi negli ultimi anni in Italia aveva fatto propria la litania sul “tema di carattere europeo” o è un “tema che riguarda l’Europa”, perché la politica è essenzialmente realismo e la prossima futura politica statunitense in Europa sarà quella di costruire rapporti bilaterali con le singole nazioni, e di conseguenza non tutte beneficeranno della stessa attenzione. Una dura verità, che richiede oggi più che mai un bagno di realismo.

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Nato nel 1994, esattamente il 7 ottobre giorno della Battaglia di Lepanto, Calabrese. Allievo non frequentante - per ragioni anagrafiche - di Ansaldo e Longanesi, amo la politica e mi piace raccontarla. Conservatore per vocazione. Direttore di Nazione Futura dal settembre 2022. Fumatore per virtù - non per vizio - di sigari, ho solo un mito John Wayne.