Borse a picco e governi sotto shock. La comunità internazionale e gli operatori economici hanno subìto anche ieri le conseguenze dei dazi annunciati da Donald Trump. Qualcuno già ipotizza una recessione dopo un periodo in cui si sperava nella spinta propulsiva della “Trumpeconomics”. Ma se il presidente degli Stati Uniti ha ribadito anche ieri che “a volte bisogna prendere una medicina per guarire”, il resto del mondo prova a gestire il caos.

Ieri, dopo che il consigliere economico del presidente Usa, Kevin Hassett, aveva parlato di una possibile “moratoria di 90 giorni per i dazi per tutti i Paesi, Cina esclusa”, la Casa Bianca ha smentito parlando di “fake news”. Cosa che ha provocato una nuova fluttuazione dei mercati. Ma nelle ore precedenti a quella dichiarazione, Hassett aveva rivelato anche qualcos’altro ai media americani. “Il presidente Trump ascolterà i partner commerciali, se avranno degli ottimi accordi da offrire. Trump deciderà se saranno sufficienti”, aveva detto il consigliere intervistato da Fox News. Alla Abc, invece, lo stesso Hassett aveva detto che “più di 50 Paesi” avevano già contattato la Casa Bianca per trattare sui dazi. E su questo punto era arrivata anche la conferma alla Cnn da parte del segretario all’Agricoltura, Brooke Rollins, secondo cui una cinquantina di governi stavano “bruciando le linee telefoniche della Casa Bianca” per trovare un accordo, suggerendo che di fatto i dazi sono un’enorme leva negoziale per accordarsi con gli altri Paesi.

Il piano per ora sembra funzionare. Perché il mondo, preoccupato e inquieto da questa svolta americana, ha scelto per il momento di non andare allo scontro frontale. Il primo leader a volare negli Stati Uniti è stato il premier israeliano Benjamin Netanyahu, interessato a discutere (oltre che di Gaza e Iran) anche dei dazi sull’import dallo Stato ebraico. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha già in programma un bilaterale con il presidente statunitense a Washington, probabilmente il 16 aprile. Un viaggio che dovrebbe precedere un altro summit con un pezzo da 90 dell’amministrazione Usa, il vicepresidente JD Vance, che sarà a Roma dal 18 al 20. E proprio nelle ultime 24 ore, anche dalla Casa Bianca è arrivato un indizio sul desiderio del presidente americano: trattare. Ieri The Donald ha inviato un messaggio di fuoco via social alla Cina, dicendo di non voler dialogare e di essere pronto ad aumentare ancora di più i dazi contro Pechino. Ma Trump ha anche aperto al resto dei governi: “I negoziati con altri Paesi, che hanno anche richiesto incontri, inizieranno immediatamente”.

Il segnale è chiaro. E forse serve anche a creare ulteriori spaccature in una comunità internazionale che non appare compatta. L’Italia, per esempio, da tempo suggerisce prudenza. Una posizione che non piace alla Francia, il cui ministro del Commercio, Laurent Saint-Martin, ha chiesto all’Unione europea di “non escludere alcuna opzione”, ricordando che Bruxelles ha una strumentazione che può essere “molto aggressiva”. Ma la preoccupazione riguarda la possibile reazione della Cina, primo obiettivo della Casa Bianca. Già prima dell’ultima minaccia di Trump sull’aumento dei dazi, Pechino aveva parlato attraverso il Global Times, il tabloid internazionale che è megafono del Partito comunista cinese. In un editoriale, si diceva chiaramente che “la pressione e le minacce non sono il modo giusto per trattare con la Cina” e che “le relazioni economiche e commerciali tra Cina e Stati Uniti dovrebbero essere reciprocamente vantaggiose”. Ma nello stesso articolo, è anche possibile leggere che Pechino “non crea problemi” ma non ha nemmeno “paura di fronte all’unilateralismo, al protezionismo e al bullismo economico”.

Lo scontro tra Trump e Xi appare quindi ormai netto. E il fatto che Washington, dopo questi messaggi, abbia risposto con l’ulteriore minaccia da parte di The Donald, fa credere che il duello possa inasprirsi e andare avanti per molto tempo. Qualche osservatore ipotizza che Pechino possa provare a spingere l’acceleratore su eventuali accordi con l’Ue. E il viaggio del premier spagnolo Pedro Sánchez nella Repubblica popolare servirà a sondare il terreno non solo riguardo le intenzioni di Madrid ma anche di Bruxelles. Dalla Spagna confermano che Sánchez si coordinerà anche con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Ma adesso Trump potrebbe aver trovato un grimaldello: la volontà dei singoli governi di muoversi in autonomia e con azioni bilaterali per evitare la catastrofe.