Nessun accordo a dazi zero, bensì un acquisto secco di 350 miliardi di dollari di fonti energetiche. È questa la controfferta fatta da Trump rispedendo al mittente (Europa) la proposta di un accordo “zero-for-zero”. Ursula von der Leyen ha tentato la via del negoziato, senza escludere le contromisure. Tuttavia, la Casa Bianca le ha detto picche.

Trump non vuole vedere altre auto europee sulle strade d’America. Vuole liquidità. Per raccogliere soldi rapidamente è necessario speculare sul mercato energetico. Si può farlo imponendo all’Europa l’acquisto di 350 miliardi di dollari in energia, soprattutto in Gnl, irrigidendo così la domanda sul nostro continente e rendendoci ancor più dipendenti da lui. Vorrebbe fare come Putin che, prima della guerra, ci ha venduto gas a basso prezzo, schiacciando il mercato delle fonti alternative e impedendo la diversificazione da altri fornitori. Più Gnl in Europa vuol dire stop al Green Deal. Lo stesso Piano Mattei ne risentirebbe.

Sul mercato internazionale del gas, a sua volta, l’aumento di produzione andrebbe a vantaggio dei trader, i futures su gas e capacità di rigassificazione verrebbero spinti verso l’alto, mentre i concorrenti diretti degli Usa – Russia e Qatar – si vedrebbero crollare i prezzi. Alla faccia del dialogo peer to peer tra Putin e Trump. E soprattutto con gravi effetti sull’economia di guerra russa. Lo stesso meccanismo speculativo si avrebbe sul mercato del petrolio. In questo caso, a farne le spese sarebbero i tradizionali alleati dell’America nel Golfo, ma soprattutto l’Iran. Il quale da un lato si troverebbe costretto ad accelerare il piano nucleare per trovare una fonte alternativa in vista del calo dell’offerta petrolifera, dall’altro si esporrebbe ancor di più al rischio di un attacco militare, proprio perché un Iran nucleare – militare o civile che sia – nessuno lo vuole.

Ma torniamo all’Europa. Eliminare con un tratto di penna il famoso deficit commerciale, che, a dire di Trump, ammonterebbe a 350 miliardi di dollari in nostro favore, vuol dire negoziare? Per com’è stata presentata dalla Casa Bianca, ha più il sapore di un ordine esecutivo. Attenzione, la somma è tutta da dimostrare. I conti in mano alla Ue sono diversi. Nel 2023 Bruxelles ha avuto un surplus commerciale di 170 miliardi di dollari sui beni, contro 119 miliardi di servizi importati. Di conseguenza, la mossa di Trump dovrebbe indurre a una riflessione tutti coloro che insistono sulla strada del negoziato. Primo perché la proposta di von der Leyen è tale già di per sé. Ma soprattutto in quanto Washington non ha voluto saperne. Segno che una qualsiasi altra operazione potrebbe raccogliere lo stesso esito.

C’è poi chi potrebbe obiettare che le contromisure e il bazooka anti-coercizione non sono propriamente concilianti. D’accordo, ma con un Trump che non riconosce l’Ue e che palesemente vorrebbe polverizzarla, non si capisce a che pro Bruxelles dovrebbe assumere una linea di appeasement. Peraltro il precedente freschissimo, di lunedì notte, di Netanyahu che concede i dazi zero a Trump, mentre quest’ultimo non fa un plissé, dovrebbe essere un esempio da non seguire. La posizione di Washington è molto più intransigente di quanto si creda. Trump non vuole avere auto e macchinari industriali d’importazione sul suolo americano. Prodotti che, al contrario, continuerebbero a essere esportati negli States, se la proposta europea passasse. Sono manufatti stranieri alla stregua degli immigrati che, nel disegno Maga, rappresentano un ostacolo.

L’America a cui Trump vuole tornare è quella di fine Ottocento. «Tra il 1870 e il 1913, il nostro Paese era il più forte», diceva in conferenza stampa, con a fianco il premier israeliano. «Sapete perché? Era tutto basato sulle tariffe doganali. Non avevamo l’imposta sul reddito. Poi, nel 1913, qualche genio ha avuto l’idea di far pagare i cittadini del nostro Paese, invece che i Paesi stranieri che ci stavano sfruttando».
Questa è la strategia. Io non ti compro più nulla finché non siamo alla pari con i conti. Period!