Classi dirigenti e sistemi elettorali. È perfettamente inutile girarci attorno. Le classi dirigenti, a livello nazionale come a livello locale, sono sempre il frutto concreto dei sistemi elettorali. Sistema elettorale che, come dicevano sempre i leader democristiani, “è la madre di tutte le riforme”.

Del resto, per quasi 50 anni il sistema vigente, almeno per la Camera, era quello rigorosamente proporzionale che prevedeva nei vari collegi – seppur molti ampi – le quattro preferenze. Una tecnicalità che obbligava da un lato ad avere candidati fortemente radicati nei territori e rappresentativi di pezzi di società e, dall’altro, a costruire un forte e qualificato pluralismo all’interno stesso dei partiti.

Al riguardo, non si possono non citare le correnti della Democrazia cristiana, autentici “partiti nel partito” come ricordava sempre Guido Bodrato. Al Senato, invece c’era il famoso “provincellum”, ovvero un sistema proporzionale articolato per collegi uninominali dove la competizione era fra i candidati dello stesso partito nei vari territori della regione di appartenenza. Dopodiché, e finita la prima repubblica, è subentrato il “mattarellum” con i collegi uninominali e la vittoria nei vari collegi del candidato che prendeva un voto in più dell’avversario. E poi, infine, la stagione grigia ed arida delle liste bloccate.

La cancellazione della democrazia interna

Ora, è di tutta evidenza che dopo la cancellazione dei partiti storici, democratici, collegiali e profondamente radicati nella società, gli stessi soggetti politici che sono succeduti si sono semplicemente adeguati ai sistemi elettorali. E, nello specifico, per l’elezione dei parlamentari. Camera e Senato uniti. Ed è proprio all’interno di questa cornice che sono decollati i partiti personali e, con i partiti personali, il criterio della più fideistica e rigorosa “fedeltà” nei confronti del capo di turno. O del guru, o del padrone, o del leader indiscusso ed indiscutibile del partito. Con la radicale cancellazione della democrazia interna a quei partiti.

I partiti riflettono i sistemi elettorali

Dalla compilazione delle liste alla stesura degli organigrammi interni, dalla nomina nei vari sottogoverni alla stessa costruzione del progetto politico. E, su quest’ultimo versante, è appena sufficiente ricordare che gli iscritti al partito personale apprendono il cambiamento – a volte anche radicale – della linea del partito dalle interviste rilasciate dai capi agli organi di informazione. Gli ultimi casi di Renzi e di Calenda sono, al riguardo, esemplari e non richiedono neanche di essere commentati. Ecco perché, per tornare all’inizio di questa riflessione, anche e soprattutto in una stagione post ideologica e a volte addirittura post politica, i partiti non fanno che riflettere l’impianto dei sistemi elettorali. E se vogliamo superare la deriva dei partiti personali e antidemocratici – almeno questa è la volontà formale dei vari partiti che viene, però, smentita quotidianamente e sistematicamente dai fatti e dai comportamenti concreti dei loro capi e leader – l’unica strada percorribile resta quella di modificare le leggi elettorali. Tutto il resto appartiene solo e soltanto al campo della propaganda e della ipocrisia.