Il sovraffollamento
Il paradosso del Centro, il sondaggista Pregliasco: “Vale il 10% ma ci sono troppi aspiranti leader e partitini”
I centristi in Italia continuano a vivere di paradossi. Non riescono a fare fronte comune, non mettono da parte i protagonismi e così rendono nulla una domanda che vale circa il 10% di voti. Le ragioni dei continui inciampi? Il sondaggista Lorenzo Pregliasco non ha dubbi: «L’offerta politica è troppo frammentata». Il co-fondatore e direttore di YouTrend ritiene che «una pluralità di cantieri, aspiranti leader, sigle, contenitori, iniziative» sia un limite. Ecco perché il cantiere libdem inaugurato da Luigi Marattin ha un imperativo se vuole riuscire ad affermarsi: «Deve aggregare».
Le divisioni del centro alle elezioni europee hanno gettato all’aria oltre 1,6 milioni di voti. L’offerta politica manca, eppure la domanda c’è…
«La domanda c’è e, anche se non maggioritaria, è rilevante. Non dimentichiamo che alle politiche del 2022 i soggetti di centro e dintorni avevano raccolto circa il 10%, senza considerare Forza Italia. C’è una domanda intorno al 10%, ma l’offerta politica è troppo frammentata».
Ora Matteo Renzi spinge per il campo largo. L’elettorato di Italia Viva concorda, è in forte disappunto o la base è spaccata?
«È difficile avere dati affidabili sull’elettorato di Italia Viva e guardare l’orientamento di un partito con il 2%, perché nei sondaggi generali la base numerica dei suoi elettori è molto ridotta. Penso comunque che l’elettorato di IV sia legato al suo leader, disponibile a seguire Renzi anche quando la linea appare difficile da digerire».
A questo si aggiunge un altro problema: il bacino del centrosinistra. L’elettorato di Pd, M5S e Avs reputa IV un’opportunità per battere il centrodestra?
«È difficile sperimentare il campo largo dal momento che le diverse elezioni che ci separano delle politiche (del 2027?) hanno un sistema elettorale e un’offerta politica diversa: nelle elezioni amministrative, ad esempio, le dinamiche locali inquinano il risultato. Il problema di fondo è che buona parte degli elettorati degli attori in questione hanno opinioni molto forti sugli altri e, in un certo senso, sono nati e sono stati alimentati negli anni proprio da una retorica contraria. Il posizionamento di Azione è antitetico a livello socio-demografico e valoriale a quello dei 5 Stelle, così come l’elettorale grillino reputa Renzi un avversario con una visione radicalmente diversa sul concetto di politica. Questi contrasti sono consolidati e sono anche parte dell’identità dei singoli partiti. Resta un problema di sovrapponibilità e di compatibilità degli elettorati: non si riesce a trasferire all’intero elettorato del M5S quando ci si allea con il centro e viceversa».
È partito il cantiere di Luigi Marattin che, in asse con Andrea Marcucci e Alessandro Tommasi, spera di dare vita a un partito libdem. Che prospettive può avere il nuovo soggetto politico?
«È un esperimento, vedremo che tipo di presa avrà. La criticità è sempre la stessa: c’è un bacino elettorale significativo ma non immenso e al contempo una pluralità di cantieri, aspiranti leader, sigle, contenitori, iniziative. Sicuramente denotano una certa vivacità culturale, ma in chiave politica è un limite essere così frammentati. Dovranno riuscire ad aggregare».
In tutto ciò Azione naviga in mare aperto. Al partito di Calenda conviene mantenere un profilo terzo o, per forza di cose, sarà costretto a sposare uno schieramento?
«Da molti punti di vista potrebbe parlare al centrosinistra, ma c’è un problema: se si sposta sul centrosinistra rischia di perdere quell’elettorato che vede la ragione del voto ad Azione proprio nell’essere alternativi ai due poli principali».
Gli elettori guardano di buon occhio una possibile alleanza con Forza Italia?
«Giornalisticamente consideriamo Forza Italia parte del centro allargato, moderato ed europeista. Ma, dal punto di vista dell’elettorato e della leadership, rimane un partito fortemente agganciato al centrodestra. A livello valoriale e di cultura politica, l’elettorato di FI continua a scegliere il centrodestra. Che è una coalizione meno frammentata al suo interno. Chiaro, ci sono differenze. Ma condivide alcune caratteristiche fondamentali e questo rende difficile immaginare Forza Italia fuori dal centrodestra: perderebbe un elemento identitario e costitutivo del suo bacino di consenso».
Il bipolarismo è una sorte a cui dobbiamo ormai rassegnarci o è solo un’illusione?
«In parte è un’illusione, lo si è visto dopo le riforme elettorali che hanno messo in discussione questo assetto e soprattutto con l’emergere di un soggetto forte come il M5S. Va detto però che si tratta di un “aspetto a cicli”, varia a seconda della fase politica: ad esempio nel 2018 si diceva che il bipolarismo fosse finito, ma dopo poco più di un anno si è tornati vicini a un sistema di fatto bipolare».
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