Che la legge elettorale con cui si vota il 25 settembre sia una autentica porcheria l’hanno detto in molti tra cui alcuni di coloro che la votarono. Il mio giudizio, tuttavia, tenta di andare al di là dell’invettiva per indicare il carattere del meccanismo politico-istituzionale che traduce la volontà dei cittadini in rappresentanza della nazione, la cosiddetta “sovranità popolare”. A me pare che l’attuale sistema non sia solo “una porcheria” ma che abbia un inedito carattere semi-autoritario. Spiego il perché.

Il votante non ha la possibilità di scegliere il suo rappresentante, ma solo il simbolo della lista che preferisce. Nel sistema elettorale a due facce per la Camera (400 membri) e Senato (200 membri), i due terzi dei membri sono eletti in modo proporzionale su listini plurinominali bloccati (circa 4 candidati), e un terzo in collegi uninominali-maggioritari in cui vince il candidato che ha più voti. Il trucco sta nel fatto che non è possibile esercitare il “voto disgiunto” vale a dire votare, per esempio, all’uninominale giallo e al proporzionale verde. Che lo si voglia o no, il voto dato al candidato uninominale si trasferisce alle liste che lo sostengono e, reciprocamente, il voto per una lista in coalizione con altre si trasferisce al candidato uninominale. Esempio: se voto la coalizione di sinistra facendo nel proporzionale una croce sul simbolo di +Europa (Bonino) il voto si trasferisce anche al candidato uninominale che probabilmente non è di +Europa ma della coalizione di cui fa parte. e viceversa.

I listini della parte proporzionale sono bloccati senza preferenze. Sia nei partiti piccoli che in quelli grandi l’unico candidato che ha possibilità di essere eletto è colui/colei che è stato piazzato al n.1. Gli altri fanno tappezzeria. Il dominus dei possibili eletti è il potente capo-partito che ha fatto le liste piazzando in testa ai listini i suoi amici, compagni di corrente e simili. Ogni persona può essere candidata i 6 posizioni diverse, in 1 collegio uninominale e 5 listini proporzionali della stessa regione o di regioni diverse. Ciò significa che dalla lettura delle liste si conosce già in gran parte chi sarà eletto e chi no. La bagarre dentro i partiti per la posizione significa proprio questo: essere candidato/a per essere eletto oppure per fare solo scena.

L’alternanza prevista dalla legge tra i due sessi (40/60) è un inganno del femminismo che ignora come funzionano i sistemi elettorali. Nel caso del “Rosatellum”, anche se in tutti i listini vi sono il 60% di presenze femminili che però occupano il primo posto solo nel 30% di collegi non favorevoli, è probabile che le elette saranno poche. La rivendicazione demagogica femminista è formalmente soddisfatta e sostanzialmente ingannata. Con la pluralità delle candidature della stessa persona – cosa praticata da tutti gli esponenti di primo piano in tutti i partiti – questi non solo si assicurano la propria elezione anche se la lista ha preso pochissimi voti ma condizionano anche la scelta degli eventuali subentranti (amici, parenti, fedeli di corrente etc.) nel caso di una doppia o tripla elezione.

Per questi ed altri marchingegni nascosti nelle pieghe della legge mi pare appropriata la definizione di sistema semi-autoritario.
Cinquestelle, +Europa, e gruppuscoli a destra come a sinistra: l’uso furbesco delle coalizioni. Se una lista prende nazionalmente meno del 3% dei voti non elegge parlamentari. Se, però fa parte di una coalizione che ha raggiunto il 10% elegge comunque deputati e senatori anche con l’1%. Non stupisce perciò che la legge elettorale venga usata come un gioco dell’oca proprio da quei partiti che hanno rivendicato ad alta voce il loro ruolo di “servizio ai cittadini” e di orgogliosa autonomia dalla partitocrazia. Il caso più clamoroso è quello dei Cinquestelle osservanza Conte. Il quale in barba alle proclamazioni, ha decretato dalla sede apostolica M5S che lui, e solo lui, decide chi dovrà essere eletto e chi no. Ed ecco, in fila ordinata, il proprio notaio (a scanso sorprese) e i fedelissimi personali che sono andati a formare i magnifici 15 dall’avvocato con candidature plurime tutte al n.1 dei listini proporzionali. Gli altri fratelli, sorelle e congiunti di Cinquestelle non prescelti dall’avvocato fanno tappezzeria.

Caso diverso ma non meno sorprendente è quello del gruppo di +Europa. Dopo la dichiarazione di Emma Bonino di voler seguire la massima pannelliana secondo cui per un radicale a candidarsi sotto il Pci (e i post-comunisti) si diventa “dipendente” e non “indipendente di sinistra”, è parsa singolare la scelta di restare in coalizione oltre che con Enrico Letta, anche con Fratoianni, Bonelli e gli ex stellati di Di Maio piuttosto che seguire la difficile ma coraggiosa scelta autonoma di Calenda. Tale collocazione, anche se non è stata dettata da un tale spirito, potrebbe apparire come utilitaristica al fine di ottenere una elezione più sicura per la leader di +Europa e il suo gruppetto sotto il largo cappello del Pd che con la coalizione può garantire alcuni posti sicuri in testa ai listini proporzionali e nei buoni collegi maggioritari.

Altre vicende furbesche e strumentali sono quelle dei gruppuscoli che avendo scarse probabilità di superare la soglia del 3% si sono rintanati sotto le coalizioni della mamma di destra (Fratelli d’Italia) o del padre di sinistra (Partito Democratico) in modo tale da avere comunque degli eletti più o meno garantiti. Questo vale per alcuni simboli gruppuscolari: a destra “Noi democratici” comprendente lo scudo crociato di Cesa, e i sotto-simboli di Lupi e Brugnaro, e a sinistra, oltre a +Europa, “Impegno civico”, “Europa verde” e “Sinistra italiana”. A pensare che per mezzo secolo si è seriamente dibattuto di come eliminare la frantumazione proporzionale dei partiti inventati da singoli personaggi. Per tutta la prima repubblica, alla Camera, è rimasta in vigore una legge proporzionale di lista con preferenze in collegi regionali o subregionali.

Nella legge per la Costituente i voti non utilizzati nelle circoscrizioni per un quoziente intero (i resti) andavano al Collegio unico nazionale (Cun) dove si eleggevano i candidati del listino prefissato. Sistema chiaro che, in sostanza, prevedeva una specie di diritto di tribuna in cui anche i piccoli partiti potevano avere alcuni rappresentanti. Il Partito d’Azione ebbe 7 seggi tutti al Cun (tra cui Calamandrei, Valiani e Foa) e i Cristiano-sociali un seggio al Cun (Gerardo Bruni). Dal 1948 i resti non andavano al Cun ma venivano utilizzati nelle circoscrizioni. Nel 1953 i partiti del centrismo degasperiano (Dc, Psdi, Pli, Pri) proposero una legge maggioritaria: la lista o la coalizione delle liste apparentate che ottenevano il 50%+1 dei voti ottenevano il 65% dei seggi. Legge onestissima che indicava agli elettori quali erano le forze che potevano formare un governo stabile e in esse i candidati a cui dare la preferenza.

Ma la sinistra (Pci e Psi) e la destra (Msi) fecero una battaglia forsennata contro la “legge truffa”, come demagogicamente la definirono le sinistre. Si trattava invece di tutt’altro che truffa bensì di una seria proposta per legare il voto dei cittadini alla governabilità oltre che alla rappresentatività. Nel 1993 il referendum abrogativo Segni-radicali pose fine alla proporzionale. Sergio Mattarella inventò il “Mattarellum”, una legge che prevedeva per Camera e Senato il 75% dei seggi da eleggere nei collegi uninominali (chi ha più voti, vince) e il 25% da eleggere in listini proporzionali su scala regionale o subregionale. Una buona legge che conciliava le esigenze di rappresentatività (recupero con i listini proporzionali) e governabilità (collegi uninominali maggioritari). Ma la fantasia partitocratica è sempre in agguato dietro l’angolo. Come fare per distruggere la possibilità di scelta politica e individuale dell’elettore?

Il leghista Calderoli inventò nel 2005 un sistema da lui stesso definito “porcellum”, talmente ingarbugliato (liste proporzionali bloccate, premio di maggioranza, e soglia oscillante tra il 2% e il 4%) che solo pochi maghi elettorali riuscirono a capirne il significato. Dopo un paio di elezioni si capì che l’obiettivo vero era quello rendere impotente l’elettore e consegnare la chiave delle elezioni a chi aveva il potere di fare le liste. Ed ecco nel 2013 arriva” l’Italicum” pudicamente battezzato “Rosatellum” dal suo ideatore on. Ettore Rosato. Quando i Cinquestelle guidati da quel genio costituzionale di Luigi Di Maio si presentarono davanti a Montecitorio con un cartonato di poltrone e di enormi forbici, i Cinquestelle acutamente spiegarono che con la riduzione dei parlamentari (Camera, da 630 a 400 – Senato, da 315 a 200) si stava facendo una rivoluzione che avrebbe fatto risparmiare miliardi agli italiani.

In realtà gli autori pensavano che la proposta non sarebbe passata e quindi che avrebbero potuto fare una campagna contro i malvagi partiti e corrotti dalle poltrone. Accadde inaspettatamente che tutte le forze politiche maggiori, a cominciare dal Pd, votarono prontamente la legge costituzionale sottoponendosi al diktat demagogico dei Cinquestelle pur cercando di alleviare il danno con la promessa di riformare la legge elettorale, i regolamenti parlamentari e una serie di altre norme costituzionali connesse. Nulla di tutto ciò è accaduto.

Ed oggi tutti i partiti – Cinquestelle in testa, Partito democratico, Forza Italia etc – piangono perché non riescono a piazzare in buona posizione tutti gli aspiranti deputati e senatori. L’eterogenesi dei fini si è compiuta. Invece di affrettarsi a proporre una nuova legge elettorale, proporzionale, maggioritaria o mista che fosse, ma onesta e rispettosa delle scelte degli elettori di cui vi sono alcuni esempi nella Repubblica, si sono moltiplicate le risse, gli attacchi tra compagni e amici, gli scandali per bruciare qualcuno e via di seguito. Il declino della Repubblica è davvero inarrestabile?