Il Movimento è dei suoi iscritti, dei suoi “portavoce” eletti in Parlamento o – più banalmente – una proprietà privata del Garante, di Beppe Grillo? La verità è che quando Grillo dice che “uscirà dal Movimento” mette in campo una delle sue iperboli, una provocazione. Perché il comico tiene in vita l’associazione che dal 2013 è proprietaria del simbolo del Movimento: il “marchio di fabbrica” è suo e del Movimento può disporre come meglio crede.

Lo sa bene Conte, che ha faticato non poco a far passare il nuovo Statuto. E così quando il garante rimarca la necessità che la regola del secondo mandato non venga intaccata da deroghe, e la guerra civile grillina esplode in tutta la sua irruenza, la boutade che paventa l’uscita del proprietario dalla sua proprietà fa parlare, ma anche sorridere. Certo, non loro. L’irritazione dei deputati contiani esplode, quasi ignorassero di operare nel partito personale del comico. Che irritato a sua volta, minaccia di chiudere baracca e burattini. “Grillo – spiega chi conosce bene il fondatore del Movimento – è capace di togliere il simbolo al M5S”. Se non si sta alle sue regole, il Garante minaccia di uscire dal campo portandosi via il pallone, che peraltro è suo.

Lo scontro Grillo-Conte va in scena mentre il Movimento è dilaniato da ogni lato. Tra faide, rivalità personali, abbandoni e minacce sembra di assistere davvero agli ultimi giorni di Sparta. Ieri mattina il capogruppo alla Camera, Davide Crippa, si è dimesso. E così tre esponenti del direttivo. Ieri sera una animata assemblea dei gruppi ha provato a indicare la strada della sostituzione immediata, almeno per fingere – siamo in campagna elettorale – una parvenza di normalità. Ma la strada è segnata. Beppe Grillo avrebbe già deciso, al di là della battaglia sulla regola del doppio mandato: il richiamo del barricadero Alessandro Di Battista in servizio permanente sarebbe imminente. Giuseppe Vassallo, direttore dell’Istituto Cattaneo, lo dà per scontato. “Mi immagino per il futuro un M5S come l’Idv ma in una versione più agguerrita. La sua campagna elettorale sarà in stile Alessandro di Battista, più vicina alla comunicazione ‘grillina alla prima maniera’. Il gruppo parlamentare pentastellato – ipotizza Vassallo – sarà molto ridotto e tenderà a fare opposizione contro tutti, tornando verso le origini”.

Per stare all’oggi, il confronto durissimo tra il comico e l’avvocato parte da lontano, dalle ambizioni sul Movimento, che entrambi vorrebbero tenere sotto pieno controllo per farne però due entità ben distinte. Se il comico sogna ancora un movimento eco-alternativo, l’avvocato sogna di farne il suo grimaldello parlamentare, una pattuglia di influencer istituzionali. Se la politica fosse di casa, il compromesso sulla regola dei due mandati si troverebbe. Così non è. “L’importante è che Conte decida”, spiega un ‘big’ pentastellato. Facile a dirsi. Non è il suo forte. E il tempo sta per scadere: a poche settimane dalla presentazione delle liste, il nodo resta. Al di là delle schermaglie dietro le quinte c’è disorientamento nei gruppi parlamentari.

Conte – osserva un fedelissimo dell’ex premier – sta combattendo per il M5s, non può essere ogni volta attaccato”. Grillo – questa la tesi che rilancia un altro esponente di primo piano – aveva dato mesi fa il semaforo verde ad un’exit strategy, ora è di nuovo sulle barricate. Il ragionamento è che così il Movimento “rischia di non avere più le truppe che continuano a lavorare nelle Aule parlamentari”. L’Istituto Cattaneo certifica che non ci sono seggi uninominali in cui il M5S ha una sola chance di vittoria. Recupereranno con il proporzionale? Chissà. Ogni settimana che passa il partito di Conte perde quasi un punto percentuale. Oggi sarebbe intorno al 9,5% ma ci sono ancora otto settimane da qui al voto.

Più sale la rabbia degli elettori che si rendono conto del danno economico derivante dalla cacciata di Draghi, più scende il consenso per quel che rimane del M5S. Un sondaggio realizzato da IZI su un vasto campione di elettori del M5S dice che oltre il 60% tra chi li ha votati nel 2018, adesso orienterà la sua scelta su partiti ben diversi: in misura uguale (11,5%) Pd e Fdi. Uno su dieci andrà a votare per Di Maio, moltissimi si asterranno. La delusione per il grande bluff del grillismo si sconterà nelle urne. A dirsene deluso è adesso anche l’ex senatore M5S Vito Petrocelli: “Non mi ricandido alle prossime elezioni. Lo avevo già scritto il 16 febbraio, prima di essere cacciato da Conte perché gli manca il coraggio vero delle scelte difficili”.

La delusione degli uscenti è tutta intestata all’Avvocato del popolo che si è messo in testa di fare la “Cosa rossa”, spalleggiato da Pierluigi Bersani ma abbandonato dalla corrente tailandese del Pd. “Non lo capisco più”, confessa infatti Goffredo Bettini. Come dice Matteo Ricci, coordinatore dei sindaci del Pd al Riformista: “Siamo noi del Pd i più delusi da Conte. Puntare tutto sui Cinque Stelle è stato un grave errore”. Ora bisogna dirlo ai dem del Lazio, a quelli della Lombardia, a quelli della Sicilia. La notizia della rottura prodotta a Roma, lì non è ancora arrivata.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.