Il tempo è poco. I simboli elettorali dovranno essere presentati tra il 12 e il 14 agosto. Le liste entro il 22 agosto. Un mese da oggi. Con quaranta gradi di media e il bisogno di un po’ di riposo nel mezzo. È la “fregatura” più forte per i partiti. Tutti, comprese le opposizioni a cominciare da Fratelli d’Italia. L’ideale, per chi ha fatto cadere il governo – M5s Lega e Forza Italia – sarebbe stato un governo tecnico su cui scaricare le responsabilità di scelte difficili e dolorose che dovranno essere prese in autunno (al netto dell’avvio di un percorso di pace in Ucraina) in modo da avere quei 4-5 mesi a disposizione per organizzare alleanze, programmi e candidati.

Non è così. E adesso sono tutti alla ricerca di una soluzione. Quello messo meglio è il centrodestra che almeno ha un perimetro di azione più definito. Ma non è tutto oro quel che luccica. Decisamente più in alto mare il centrosinistra: con o senza i 5 Stelle– e ad oggi è più probabile senza – il “campo largo” del segretario Letta è un puzzle difficile da comporre. Anche perché il “centro” o fronte repubblicano è sempre più affollato ma ancora informe e indeciso su da farsi. Al di là di una un po’ mitizzata “agenda Draghi” su cui molti cercano di mettere il cappello senza contare che evocarla senza il principale azionista sa un po’ di seduta spiritica.

Le regole del gioco
La premessa con cui tutti devono fare i conti è il mix tra legge elettorale (il Rosatellum, maggioritario corretto) e taglio dei parlamentari che da 945 sono diventati 600. Con le regole del gioco fissate dal Rosatellum 322 seggi saranno attribuiti con il maggioritario e 366 con il proporzionale. Un altro testo con cui le segreterie dei partiti devono fare i conti è un recente “decreto elezioni” convertito un mese che, con un emendamento Ceccanti(Pd)-Magi (+Europa) ha consentito a quattro partiti la deroga per la raccolta delle firme alle elezioni politiche. I partiti sono +Europa, Italia viva, il Centro democratico di Bruno Tabacci e Noi con l’Italia di Maurizio Lupi: potranno correre da soli o in coalizione con il proprio simbolo alle politiche del 25 settembre. In questo sistema – che non può più esser corretto – Carlo Calenda deve raccogliere le firme per poter presentare il simbolo di Azione. Può farlo ma solo al traino di +Europa. Nicola Fratoianni e Sinistra Italiana hanno lo stesso problema che è stato risolto con eleganza nell’ultima seduta prima dello scioglimento delle Camere: SI e Articolo 1 sono stati assorbiti nel gruppo camera di Leu. Articolo 1 non presenterà una propria lista ma avrà i propri candidati nella quota “sinistra” delle liste Pd. Fin qui i tecnicismi di giornata. È possibile che ne vengano fuori altri nei prossimi giorni. Vedremo.

I perimetri delle coalizioni
I problemi più seri riguardano i perimetri delle coalizioni. Il centrodestra, scampato il pericolo di una legge elettorale proporzionale, si ripropone nella modalità di sempre: formalmente unito, sostanzialmente separato. Sia Lega che Forza Italia soffrono i larghi consensi di Giorgia Meloni e la sua legittima ambizione a diventare la prima presidente del Consiglio donna. Vorrebbe dire affidare il paese al partito più di destra. Il coordinatore azzurro Tajani giusto ieri ha chiarito: “Meloni premier? Presto per dirlo. Vedremo”. Forza Italia ha seguito la Lega nello strappo al governo Draghi perché Salvini deve fermare l’emorragia di consensi pagata, dicono i leghisti, stando al governo. Lo strappo sta costando caro al Cavaliere: due ministri hanno già lasciato (Brunetta e Gelmini) accusando le prime linee del partito di “aver consigliato male il Presidente”; il terzo ministro, Mara Carfagna, sta per lasciare o meglio, come dice lei, “è Forza Italia che ha lasciato me”.

Non solo: l’Italia liberale, produttiva, che lavora è rimasta spiazzata dallo strappo e ne chiederà conto. “Hanno tradito Draghi” titola più o meno tutta la stampa straniera. Anche questa cosa del “partito di Putin” cioè Lega, M5s e Forza Italia che ha buttato giù il leader più fi lo ucraino comincia a scavare negli umori dell’elettorato moderato. Berlusconi comincia ad annusare aria di fregatura e si sta dando molto da fare con interviste, annunci elettorali (“mille euro di pensione minima”; “mille alberi da piantare per proteggere l’ambiente”), “programmi politici avveniristici” e “una squadra di ministri all’altezza delle sfide”. Ieri Meloni è andata a Villa Grande, residenza romana di Berlusconi. Salvini ci ha vissuto nei giorni dello strappo. Tajani ieri ha avvisato gli alleati: “Approveremo tutti i decreti che il governo manderà in aula per non fermare i soldi del Pnrr”. L’incubo di perdere soldi e credibilità per colpa di una crisi assurda comincia a far tremare le coscienze. La coalizione del centrodestra può contare su sondaggi che danno una vittoria certa. Basterà come collante?

Campo largo, tutto da fare. O rifare.
Nel cosiddetto centrosinistra le cose sono più confuse. Al Nazareno, sede del Pd, girano sondaggi che dicono che, se va bene, il centrosinistra (non è chiaro con quale formula) può cercare di vincere solo il 15% dei collegi uninominali (quelli con il maggioritario). Il Pd ha già spiegato quale sarà il sottotitolo della campagna elettorale: avanti con l’agenda Draghi. Più che altro si dovrebbe dire con il “metodo” Draghi, senza compromessi. E già questo è meno verosimile. Il problema sono le alleanze: il 22-24% di consensi che il Pd può ragionevolmente contare di avere non sarà sufficiente a vincere. Allearsi è necessario. Ma con chi? Le ultime dal Nazareno dicono che il segretario avrebbe deciso di dire no all’alleanza con Conte (3/4 del partito non ci sta). “Escludo ogni alleanza con chi ha fatto cadere il governo Draghi” dicono e ripetono prima Letta e poi Franceschini. E però proprio oggi in Sicilia si svolgono le primarie del centrosinistra, piddini e 5 stelle corrono insieme per il candidato alla presidenza della Regione. Nessuno le ha sconvocate. Vedremo stasera gli esiti: che succede se la candidata grillina prende più voti del candidato del Pd? La partita con i 5 Stelle non sembra chiusa se Giuseppe Conte ieri mattina ha detto: “C’è ancora spazio per dialogare, ben sette dei nostri 9 punti di programma sono condivisi dal Pd”. In serata è stato meno possibilista.

L’ala sinistra c’è. Ma il centro?
Sul lato sinistra Letta si è già protetto: in lista ci saranno i colleghi di una vita (Articolo 1) rientrati dopo la scissione. Il ritorno alla casa madre annunciato da qualche mese si è verificato. In coalizione potrà andare Sinistra Italiana e I verdi che faranno una loro lista. Il problema per Letta è il lato che guarda al centro, verso i moderati. In quell’area si muovono Calenda, Renzi, + Europa, Di Maio, il sindaco Sala e gli altri sindaci. Nella stessa area, più sbilanciata verso destra, ci sono Toti, Bucci, Quagliariello. Piaccia o no, le elezioni si giocheranno qui. Al momento la situazione è la seguente. Letta vorrebbe inglobare Azione e +Europa. Calenda e Della Vedova però non hanno alcuna intenzione di allearsi con un partito che ha tanta sinistra al suo interno, che vuole tenere in piedi il reddito di cittadinanza così com’è e magari giustificare la Russia di Putin a discapito della Nato. Ci sarebbe molto da lavorare sui programmi, in questo caso.

Calenda, inoltre, ha in testa che Azione e +Europa possono farcela da soli. “No alle ammucchiate in nome di un feticcio, cioè Mario Draghi, e pensate solo per andare contro qualcun altro” ha detto ieri. “È più pulita se andiamo soli – ha aggiunto – noi siamo diversi e distanti da quello che abbiamo visto in questi anni”. Soli ma col simbolo di + Europa perché quello di Azione non può più raccogliere le firme. Il punto è che Calenda non vuole patti neppure con Italia viva di Matteo Renzi che invece è l’unico che può vantare di aver fatto cadere il Conte 2 per fare spazio a Mario Draghi. Italia viva è certamente il luogo da dove costruire “il tetto e la casa all’area Draghi”. Pare che neppure Letta voglia stringere accordi con Italia Viva. Mentre sarebbero già molto avanti i contatti con Di Maio (in corsa con il simbolo di Tabacci) e l’area di Sala. Al Nazareno gira l’idea di ospitarli direttamente nelle liste Pd. Una variabile che può scombussolare le carte smosse del Centro è il punto di approdo di nomi di peso come Gelmini, Brunetta e Carfagna. Siamo solo all’inizio. Ma sarà tutto molto veloce

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.