Mario Draghi ha ispirato – come gli ha ricordato ieri, tra tanti altri, anche Emmanuel Macron – un nuovo modello di riformismo: legato allo sviluppo, alla coesione sociale e all’ancoraggio europeo. Temi che, smessi i panni del tecnico, ha declinato con una passione squisitamente politica su cui ha innestato un’agenda non economicistica, condita con doti innate di leadership. Che finisca per diventare, con le dinamiche accelerate della crisi, il leader del centrosinistra? Nei fatti, lo è già. Al termine del suo mandato ha incassato l’adesione piena del Pd, Mdp-Articolo1, dei dimaiani di IpF, di Italia Viva, di Azione, Più Europa, Noi con l’Italia e Italia al Centro.

Il perimetro di un centrosinistra ampio, che si rispecchia nel premier dimissionario. Sciolte le Camere e indette le elezioni lampo, due sarebbero le ipotesi di scenario che circolano dietro le quinte: Draghi decide di giocarsi una partita aperta, perché ormai è in campo, e si mette alla testa dello schieramento antitetico a quello del centrodestra populista e sovranista; oppure sceglie di rimanerne un passo indietro, senza rinunciare a benedire alle urne chi correrà in suo nome, per riportare al governo l’agenda Draghi. Avere Super Mario in corsa significherebbe, concordano i sondaggisti, un importante riequilibrio delle sorti. L’Istituto Piepoli precisa: se il Pd ha il 24%, l’area draghiana dei centristi rappresenta, con lui in campo, il 15%. Il centrodestra, dato ad oggi per favorito, vedrebbe drasticamente ridursi, con questa ipotesi, il suo vantaggio. Il Pd mantiene con Draghi un dialogo privilegiato.

Anche in questa fase di ordinaria amministrazione, il capo di gabinetto di Palazzo Chigi, Antonio Funiciello, per oltre dieci anni nel Pd, rimane a fare da ponte tra il suo ex capo Paolo Gentiloni e Draghi. “Partito come tecnico puro, mi sembra si sia spostato su toni più politici e più vicini a un moderno centrosinistra europeo”, suggerisce il segretario del Psi, Enzo Maraio. Il centrosinistra con Draghi in campo sarebbe un’altra cosa; il Nazareno sotto shock affida ai parlamentari una lunga sequela di commiati. “Il Pd si prepara alla campagna elettorale rivendicando con orgoglio il pieno e convinto sostegno a Mario Draghi e alla sua agenda di governo che mette al centro crescita e sviluppo”, sintetizza bene la deputata dem Alessia Rotta. Lo stesso dichiarava Matteo Renzi: “Siamo noi ad incarnare l’agenda Draghi, siamo noi ad averlo voluto”. E per Azione parla Osvaldo Napoli: “L’Agenda Draghi è per noi l’Agenda Italia fuori della la quale c’è il salto nel buio”. Ma se tutti rivendicano l’ex premier per loro, lui non si sbottona. Non si concede.

Il fronte riformista che si ispira al premier uscente sa di avere qualche problema davanti. Il rosatellum non ha grandi chance di essere ritoccato, e forse è un bene: il boccino dello sbarramento rimane fermo al 3%. Poteva andare peggio. Ma i riformisti rimangono disuniti e ancora reduci da una guerra per bande protrattasi per tutta la legislatura. La riduzione dei parlamentari, poi, porta a 400 i deputati e a 200 i senatori, la coperta è corta e a pretenderla sono in tanti. I progetti centristi, ambiziosi ma mai realmente esplicitati, rischiano di rimanere a terra. Il calendario voluto dal Presidente della Repubblica inibisce qualunque velleità; liste civiche, partiti emergenti, start-up della politica rimangono al palo. Perché non ci sono i tempi tecnici per agire. Il deposito delle candidature è fissato per il 21-22 agosto, i simboli devono essere depositati al Viminale entro il 14. Praticamente a Ferragosto chi vuole concorrere alle prossime elezioni dovrà avere pronti i programmi, le candidature di Camera e Senato, i simboli certificati (previa raccolta firme).

Gli eventuali nuovi incumbent sono praticamente impossibilitati. E tra questi vanno contati i fedelissimi di Di Maio che lo hanno seguito nell’avventura di Insieme per il Futuro. Il ministro degli Esteri infatti incontra i giornalisti in piazza del Parlamento ma non risponde a domande sul futuro della sua sigla. Avrebbe dovuto garantire una sessantina di uscenti, ora deve trovare il modo di garantire se stesso. I fuoriusciti di Forza Italia, Maria Stella Gelmini e Renato Brunetta in primis, rimangono a metà del guado. I lavori in corso nella continua composizione del fluido quadretto centrista non consentono, inchiodata la cornice, di trovare una risposta elettorale. “Azione e Più Europa vanno dal Pd a chiedere un diritto di tribuna”, ci dice una fonte. “Lo faranno tutti, alcuni con il Pd e altri a destra, con Fdi e Lega”, illustra un conoscitore esperto delle dinamiche parlamentari come Giampaolo Sodano. Proprio Mattarella, nella ricostruzione che ci viene fatta, avrebbe impresso al calendario elettorale la velocità necessaria a congelare l’assetto intorno ai soli grandi partiti in campo, creando le premesse per un bipolarismo di fatto.

Il progetto dei riformisti, riformatori, liberali e garantisti che stavano cercando di issare anche in Italia la bandiera unitaria di Renew Europe, si vedono travolti dalla tempistica del Colle. La prossima settimana a Roma è attesa la presentazione della Federazione Civica, l’esperimento dei sindaci riformisti. I cantieri aperti sono numerosi. E se Enrico Letta decreta la fine del Campo Largo, senza rinunciare all’ambiguità delle primarie con il M5S in Sicilia, è più definita la posizione di Andrea Marcucci, senatore dem vicino a Base Riformista. “E’ Mario Draghi – dichiara – la sua esperienza di governo, il naturale riferimento della nostra campagna elettorale, la guida del fronte repubblicano ed europeista che dovrà fronteggiare gli avventurieri del sovranismo’’. Secondo Marcucci “il riferimento, ormai quasi obbligato, sono i moderati, Renzi, Calenda, Di Maio, i liberali che hanno lasciato Forza Italia, senza dimenticare il ruolo utilissimo che può svolgere Sala, e la presenza di ecologisti e civici. Il modello è esattamente quello che portò al secondo mandato di Giuseppe Sala, una grande alleanza di democratici e riformisti, che garantì al sindaco il suo secondo mandato l’anno scorso’’, conclude il parlamentare. Un Pd all-you-can-eat, in cui tutto può stare dentro. In fondo l’indicazione voluta dal Quirinale va in quella direzione.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.