Enrico Letta si veste a lutto dopo la caduta di Draghi in Senato. Oggi la liturgia parlamentare esige il voto della Camera ma la fine del governo è decretata. «Oggi è un giorno triste e drammatico per l’Italia», dice il segretario dem. Che aggiunge: «Faremo di tutto affinché la conseguenze siano meno drammatiche possibile, il nostro impegno a sostegno del governo è stato genuino, sincero e nell’interesse dell’Italia». Si fa presto a dirlo, dopo aver voluto saldare un asse d’acciaio con il Movimento Cinque Stelle di Giuseppe Conte, “campione del progressismo”.

Il Pd ha fatto la sua parte per costruire le premesse della crisi, avendo sposato organicamente – si vedano le primarie che iniziano sabato in Sicilia – il soggetto che più di ogni altro ha martellato il governo e destabilizzato le istituzioni. In rete circola una battuta che recita: “Il Pd quando arriva la crisi, si comporta come se arrivasse un orso. Si stende a terra e si finge morto finché non passa”. Qui però bisogna affrontare le urne. Non si sfugge. «Credo che andremo alle elezioni rapidamente», rileva lo stesso Enrico Letta. Il segretario dem preannuncia «una campagna elettorale estiva, che io temo avvenga in una condizioni molto difficili per il nostro Paese, perché fuori dal lavoro di un governo forte e solido com’era questo, con la figura del presidente del Consiglio che ci ha difeso in Europa e rispetto alle turbolenze dei mercati finanziari, allo spread e all’inflazione». Per Letta, tuttavia, «sarà importante che gli italiani si trovino a scegliere tra opzioni molto chiare. La cosa incredibile di oggi sono i bizantinismi con cui si è sviluppata una giornata in cui è stato difficile capire cosa stava succedendo. Poi alla fine si è capito: qualcuno ha voluto tirarsi fuori e interrompere un percorso virtuoso».

E però se le premesse sono quelle di scongiurare i bizantinismi, sarà bene iniziare a chiamare gli artefici della crisi con i loro nomi: Giuseppe Conte e Matteo Salvini. L’asse gialloverde che non è mai davvero stato archiviato, nelle intese sotterranee tra i due leader populisti. Solo che il Pd non se n’era accorto. Conte ha prima detto di essersi sentito “umiliato” dall’atteggiamento di Draghi, poi ieri sera ha aggiunto di aver sofferto il suo “atteggiamento sprezzante”, leggendo nelle parole del premier “la deliberata volontà di cacciarci”. “Non mi fate entrare nella psicoanalisi”, dice Letta. Quale è stata la sua parte nella gestione finale della crisi? Alla vigilia del discorso tenuto ieri da Draghi al Senato, il segretario dem era a Palazzo Chigi. Solo un colloquio? Qualcuno sospetta che ci sia stato di più. Draghi avrebbe permesso a Letta di contribuire a limare il discorso, aggiustandolo nella direzione più gradita, o almeno digeribile, per il M5s.

Il centrodestra di governo lo ha saputo ed è andato su tutte le furie. La mancata reazione positiva dei contiani agli intendimenti letti dal premier in aula – per Conte “Draghi ci ha insultati” – hanno creato quella breccia nella quale si sono inseriti i leghisti, trascinandoci dentro Forza Italia. Il Pd vede rosso, i tempi della crisi precipitano. Si sarebbe potuto votare addirittura il 25 settembre, dovendo così depositare le liste entro il 20 agosto. Qualcuno ha suggerito al Viminale di prendere tempo, e si è trovato un escamotage: il 25 settembre inizia Rosh Hashanah, il capodanno ebraico. Sotto il Senato incontriamo un esponente della Comunità ebraica romana che chiarisce: «La nostra festa ha inizio la sera di domenica 25, durante la giornata si può benissimo votare». Tant’è, la politica preme per spostare. Almeno un po’. Si può andare al 2 o al 9 ottobre. Tempi comunque molto stretti: il Pd da qui a ottobre deve ridisegnare tutta la sua narrativa. Il centrosinistra come lo conoscevamo fino a ieri non esiste più. «Nulla, nulla sarà più come prima», allarga il campo Renzi. Anche se di campo largo non si può davvero più parlare.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.