Venti deputati e dieci senatori: sono una trentina gli scissionisti M5s pronti domani a uscire allo scoperto. Lo scontro è capitanato da Davide Crippa, ingegnere del Politecnico di Torino, quarantacinquenne, al suo secondo mandato e oggi capogruppo dei Cinque Stelle alla Camera e già sottosegretario al Mise. Insieme con lui ci sarebbero trenta parlamentari, ma il protrarsi dell’assemblea grillina fino a tarda ora non consente di fotografare il conteggio. Se ad uscire allo scoperto sono stati formalmente in tre – oltre a Crippa anche Cattoi e Provenza – sarebbero in tanti a covare il sospetto che la posizione di Conte stia trascinando il Movimento in un burrone.

In mattinata si schierano le diverse opinioni, si formano e si riallineano le componenti di quel che era rimasto del M5s dopo la scissione con cui Di Maio, il 21 giugno scorso, aveva dato fuoco alle polveri. Più sfumati di Crippa, arrivano i distinguo di Businarolo e Palmisano. Resta però il fatto che la pattuglia dei governisti sta provando a far sentire la sua voce: il gruppo è formato da circa 30 parlamentari e spingono perché sia votata la fiducia all’esecutivo per poter andare avanti sui vari fronti di riforme e decreti. In particolare, almeno due dei tre ministri M5s (D’Incà e Dadone) sono d’accordo perché non si vada a votare immediatamente e invece si cerchi di mediare restando al governo. Dadone però, ha poi ribadito che “seguirà la linea del capo politico”. Proprio la posizione interstiziale della ministra per le politiche giovanili lascia intravedere un’asse tutto rosa che starebbe tessendo la tela per il dopo-Conte. Sì, perché se al voto di mercoledì l’epic fail di Conte portasse a una sua sfiducia interna, è da un tris di donne che quel che resta dal Movimento potrebbe trarre nuova linfa. Si scaldano quindi a bordo campo Fabiana Dadone, Paola Taverna e Virginia Raggi.

L’ex sindaca di Roma, forte di una interlocuzione diretta con Beppe Grillo e di una inossidabile intesa con Alessandro Di Battista, è pronta ai box. Beppe Grillo segue con preoccupazione la deriva contiana. Era arrivato a Roma tre settimane fa per sedare gli animi, la missione non è stata proprio un successo. Ieri non ha interrotto il silenzio, anche se Agi riporta alcune confidenze fatte dal comico genovese ai suoi collaboratori, in cui si sarebbe detto “sconfortato dalla personalizzazione” delle polemiche interne. Se formalmente Grillo non parla, decide di affidare a una foto un messaggio criptico, con un segnale che ha subito fatto il giro delle chat interne. Non può essere un caso, infatti, se il garante del M5s nel mezzo della crisi di governo cambia la foto del profilo Whatsapp e posta l’immagine di un barattolo di colla Coccoina.

La nuova foto del profilo irrompe nel dibattito tra i parlamentari. Diventa icona parlante. Ma perfino sull’interpretazione del gesto, i grillini si spaccano. “Accusa qualcuno di voler rimanere incollato alla poltrona”, dicono i contiani duri e puri. “Suggerisce di ricucire con Draghi, di rimettere insieme i pezzi”, interpretano al contrario i governisti. Qualcuno la coccoina la invoca per davvero. “Dobbiamo arrivare a una posizione comune”, dice un senatore contiano. Non sarà facile. Più crescono i Sì da votare alla fiducia, più Conte capisce in quale cul de sac si è andato a cacciare. “Attendiamo di ascoltare il discorso di Draghi”, suggerisce la diplomazia interna. La incarna il senatore Licheri: «Troppi insulti e poca riflessione sull’impellenza delle questioni sociali sollevate nel nostro documento. Eppure, se si avesse a cuore la tenuta del paese, bisognerebbe partire proprio da lì. Ma il mio è solo un suggerimento, se preferite gli insulti continuate pure».

Il clima è acceso. Chi la scissione l’ha già fatta, i dimaiani, si è messo in posizione strategicamente utile: Di Maio può rivendicare per sé il ruolo del più stabile alleato del Pd e iniziare a ragionare sulle liste dei parlamentari da ricandidare. La scissione di domani non andrà ad aggiungere truppe a Insieme per il Futuro. “Si sta lavorando a una operazione diversa”. Se non Conte, parlano i conti: dei 330 parlamentari iniziali del Movimento, al netto dei 30 uscenti di domani, ne rimarranno 130. Poco più di un terzo: il più vistoso travaso di parlamentari mai visto nella storia repubblicana. Proprio per questo, non esistendo più il M5s così come lo avevamo conosciuto, al voto di fiducia – prima al Senato, poi alla Camera – i partiti della maggioranza potranno votare la fiducia a Draghi “per un governo senza il M5s”, come ha preannunciato ieri Berlusconi.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.