Chi la crisi la innesca è anche chi la subisce più di tutti. Sembra essere questo il risvolto immediato di quanto accaduto nelle scorse ore, dopo il ‘no’ alla fiducia sul Decreto Aiuti dei senatori del Movimento 5 Stelle, usciti dall’Aula di Palazzo Madama spingendo così Mario Draghi a presentare le dimissioni (respinte) al capo dello Stato Sergio Mattarella.

Proprio i pentastellati, ma non appare questa una grande novità viste le precedenti scissioni, dai ‘movimentisti’ di Alternativa ai fedelissimi del ministro Luigi Di Maio con ‘Insieme per il futuro’, sembrano essere quelli più in difficoltà per la mossa del presidente del Consiglio, rinviato alle Camere mercoledì prossimo da Mattarella per ‘parlamentarizzare’ la crisi.

I nervi erano tesissimi già nella riunione del Consiglio nazionale tenuta giovedì sera, durata quasi tre ore e aggiornata a oggi. Bocche cucite dai membri dell’organismo pentastellato, ma alcuni presenti hanno raccontato all’AdnKronos di momenti di grande tensione durante il confronto. “Meglio dormirci su, sennò finisce male”, taglia corto uno dei partecipanti lasciando l’incontro. Di poche parole anche Conte, inseguito dai cronisti lasciando la sede di via di Campo Marzio: “Ci siamo confrontati e abbiamo preso atto delle dimissioni del presidente Draghi. Ha preso questa decisione e ne prendiamo atto. Ci aggiorniamo domani”.

Il problema all’interno dei 5 Stelle appare evidente. La scelta di non votare la fiducia al Dl Aiuti ma di lasciare aperta la porta di un voto favorevole su Draghi, confermata dalle parole di ieri della capogruppo Maria Domenica Castellone (“c’è tutta la nostra disponibilità a dare la fiducia al governo in una eventuale verifica”) aprono interrogativi all’interno dei gruppi parlamentari pentastellati.

Dopo tutto questo casino dovremmo votare una nuova fiducia a Mario Draghi? Ma stiamo scherzando?”, è lo sfogo di un big dei 5 Stelle raccolto da Repubblica. Ma il caos è totale, perché nel partito coesistono due anime in contrapposizione: chi preme per spingere il Movimento all’opposizione, ammesso ovviamente che vi sia il tempo tecnico di farlo e di non finire al voto già ad ottobre, e chi punta a ricucire i rapporti.

Non è un caso se le uscite dal Movimento non siano terminate. Ieri la senatrice Cinzia Leone ha lasciato il Movimento per accasarsi con Insieme per il futuro, il gruppo parlamentare dei ‘dimaiani’; due giorni fa era stato il turno di Francesco Berti, deputato passato a sua volta col ministro degli Esteri. Ma i ‘mal di pancia’, raccontano i rumors di palazzo, coinvolgono soprattutto chi dei 5 Stelle ricopre cariche di governo, tra ministri e sottosegretari desiderosi di non lasciare la poltrona.

In questa ottica va letta anche l’indiscrezione filtrata da fonti pentastellati citate dall’agenzia Nova di una richiesta da parte di Giuseppe Conte ai ministri e sottosegretari pentastellati di dimettersi prima delle comunicazioni alle Camere di Mario Draghi in programma mercoledì, ritiro che significherebbe il tramonto definitivo dell’ipotesi di un nuovo sostegno al presidente del Consiglio.

Le stesse fonti hanno riportato il categorico rifiuto da parte dei diretti interessati, in particolare i ministri dell’Agricoltura Patuanelli e dei Rapporti col Parlamento D’Incà. Una questione deflagrata nel corso dell’ennesima giornata caotica e che ha spinto lo stesso Conte a smentire l’indiscrezione, facendo filtrare “l’unità e la compattezza del Movimento” dopo il confronto del Consiglio nazionale di giovedì sera.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia