È il giorno più lungo per Mario Draghi. Il presidente del Consiglio prenderà atto nel pomeriggio del ‘no’ alla fiducia del Movimento 5 Stelle al decreto Aiuti con l’uscita dall’Aula del Senato: l’esecutivo andrà in crisi, politica ma non numerica, potendo in realtà contare su numeri solidi sia a Montecitorio che a Palazzo Madama, sostanzialmente per la norma sul termovalorizzatore di Roma inserita nel provvedimento.

Giuseppe Conte lo ha detto chiaramente nell’assemblea dei gruppi parlamentari di Camera e Senato dei pentastellati: niente più “cambiali in bianco” al suo successore e niente fiducia al provvedimento perché “i cittadini non comprenderebbero una soluzione diversa”.

Nel suo intervento di apertura con i gruppi parlamentari, Conte ha sottolineato come il documento i 9 punti consegnato a Draghi nei giorni scorsi interpreti un forte disagio “dei cittadini e delle imprese”, rivendicando come il Movimento sia “l’unica forza politica che si sta interrogando su questa crisi con grande serietà anche con soluzioni da vari mesi. L’unica forza che sta incalzando il governo sulle emergenze”.

A nulla è valso dunque il colloquio telefonico avvenuto nel pomeriggio di mercoledì tra lo stesso Conte e il presidente del Consiglio Mario Draghi, uno scambio che si è tenuto durante la sospensione dei lavori del Consiglio nazionale di ieri. Un tentativo in extremis di arrivare ad una mediazione tra le parti, tra un Conte sempre più pressato dai ‘duri e puri’ del Movimento, desiderosi di una rottura con l’esecutivo. 

La proposta D’Incà bocciata da Draghi

Un tentativo in extremis lo ha fatto questa mattina il ministro per i rapporti con il Parlamento, il pentastellato Federico D’Incà, che ieri nella assemblea dei parlamentari M5s aveva la sua contrarietà alla linea decisa dal Movimento. D’Incà ha infatti avanzato ai capigruppo di maggioranza in Senato la proposta di non porre la questione di fiducia sul Dl Aiuti, ma di votare articolo per articolo con un accordo blindato che porti al via libera definitivo entro sabato, quando il decreto decade per i termini temporali. In questo modo i 5 Stelle potrebbero sostenere il provvedimento votando le norme su cui sono a favore, e magari astenersi sulle norme sull’inceneritore di Roma.

Proposta “non percorribile”, secondo quanto fatto trapelare da Palazzo Chigi. Il ministro D’Incà ha infatti incassato il ‘no’ del premier Draghi dopo un breve confronto col presidente del Consiglio:  l’unica via percorribile è la richiesta di fiducia al Senato sul Dl Aiuti.

Lo stesso D’Incà poi, paradossalmente, ha avuto il compito di informare l’Aula del Senato della questione di fiducia posta dall’esecutivo sul decreto Aiuti. Il tutto mentre tra i banchi del governo sedevano i suoi colleghi di partito, i ministri 5 Stelle che non hanno rassegnato le dimissioni nonostante l’annunciato voto contrario alla fiducia.

Le dimissioni di Draghi e gli scenari

Quali sono dunque gli scenari. Per Draghi il dado è tratto. Il premier ribadisce da giorni che senza 5 Stelle non c’è maggioranza ma soprattutto non c’è alcuna ipotesi di un ‘Draghi bis’. Il ragionamento dell’ex numero uno della Banca centrale europea è che con l’addio dei grillini cambierebbe il perimetro della maggioranza, che si sposterebbe su una trazione leghista, e che i restanti mesi di governo diventerebbero una ‘balcanizzazione’ su ogni provvedimento.

Per questo, dopo il voto di oggi, Draghi salirà al Quirinale e si dimetterà, formalizzando la richiesta che aveva già annunciato a Mattarella: non essere rinviato alle Camere, non avendo alcuna voglia di “tirare a campare” in governi balneari.

Già, Mattarella. Il ruolo centrale sarà ovviamente quello del capo dello Stato e gli scenari non mancano: quelli che sembrano esclusi sono un governo Draghi senza 5 Stelle, escluso dal diretto interessato ma anche dalla Lega di Salvini e dal Partito Democratico di Letta, che in quel caso vorrebbero le urne, e quello di un ritorno di Draghi alle Camere in cerca di una nuova fiducia, anche degli stessi 5 Stelle.

Per questo lo scenario più paventato in queste ore è quello di nuove elezioni: le date potrebbero essere quelle del 25 settembre o del 10 ottobre, col salto nel buio di riportare il Paese alle urne ne mezzo della guerra in Ucraina e di una crisi economica mondiale.

Una quarta possibilità sarebbe quella di un governo che possa traghettare il Parlamento e il Paese fino a febbraio 2023, per seguire da vicino i dossier più caldi: al timone potrebbe andarci una figura tecnica vicina a Draghi, come il ministro dell’Economia Daniele Franco.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia