Il Movimento 5 Stelle ha deciso di non votare la questione di fiducia posta dal governo sul decreto Aiuti che arriverà a Palazzo Madama domani mattina, uscendo fuori dall’Aula come già fatto nel secondo voto sul provvedimento alla Camera dei Deputati nei giorni scorsi.

È questa l’indicazione emersa al termine del Consiglio nazionale pentastellato terminato poco prima delle 21:30 e seguito dalla riunione congiunta dei gruppi parlamentari pentastellati. Giuseppe Conte e i grillini confermano dunque “l’Aventino”, ipotesi già ampiamente emersa già in mattinata, nelle circa cinque ore di riunione del Consiglio nazionale 5 Stelle. 

Nel suo intervento di apertura con i gruppi parlamentari, Conte ha sottolineato come il documento i 9 punti consegnato a Draghi nei giorni scorsi interpreti ii un forte disagio “dei cittadini e delle imprese”, rivendicando come il Movimento sia “l’unica forza politica che si sta interrogando su questa crisi con grande serietà anche con soluzioni da vari mesi. L’unica forza che sta incalzando il governo sulle emergenze”.

A Draghi Conte ha quindi chiesto di “entrare in una fase completamente diversa”, perché “non bastano le dichiarazioni di intenti”, promettendo la disponibilità al dialogo “ma senza cambiali in bianco. Dunque col non-voto di domani al Senato per Conte i 5 Stelle agiranno “con coerenza e linearità, i cittadini non comprenderebbero una soluzione diversa”.

A nulla è valso dunque il colloquio telefonico avvenuto nel pomeriggio tra lo stesso Conte e il presidente del Consiglio Mario Draghi, uno scambio che si è tenuto durante la sospensione dei lavori del Consiglio nazionale. Un tentativo in extremis di arrivare ad una mediazione tra le parti, tra un Conte sempre più pressato dai ‘duri e puri’ del Movimento, desiderosi di una rottura con l’esecutivo. 

I 5 Stelle insomma non hanno avuto attendere, come qualche big pentastellato ha ricordato durante la riunione, qualche nuovo segnale dal premier circa le istanze poste nel documento in nove punti consegnato da Conte al suo successore.

Una scelta che avrà ripercussioni importanti nella maggioranza e per il futuro dell’esecutivo, con un ruolo chiave nei prossimi giorni che spetterà al capo dello Stato Sergio Mattarella. Il premier Draghi ha più volte ribadito che senza i 5 Stelle non c’è una maggioranza,  sottolineando che l’ipotesi di un ‘Draghi bis’ non è contemplata.

In realtà, dal punto di vista meramente numerico, Draghi conterebbe ancora sulla maggioranza sia alla Camera che al Senato grazie alla scissione dei parlamentari che hanno seguito la scissione di Luigi Di Maio dal Movimento 5 Stelle. La questione per il premier è pero politica.

Questa mattina era arrivato un chiaro messaggio da Matteo Salvini, che in una conferenza stampa avvenuta proprio durante la riunione 5 Stelle aveva sottolineato come il mancato voto di fiducia dei grillini al decreto Aiuti segnerebbe per il Carroccio la fine del governo Draghi e il ritorno al voto.

Sicuramente non sarà la Lega a cercare gruppi, gruppetti, pseudo-responsabili, maggioranze, robe notturne. Se il primo gruppo del Parlamento dice basta, basta sia“, aveva sottolineato Salvini nell’intervento che sembrava porre la parola fine ad un possibile Draghi bis senza i pentastellati. Ma anche Enrico Letta, il segretario del Partito Democratico sempre in bilico tra le ipotesi di ‘campo largo’ o di addio all’alleanza con i pentastellati, aveva avvisato Conte che se i 5 Stelle fossero usciti dal governo “cade tutto e si va al voto“.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia