Lapidario Mario Draghi. In tre punti: se i 5 Stelle domani non voteranno la fiducia, “dovete chiedere al Presidente Mattarella e non a me se invierà di nuovo il governo alla Camere”. Per quello che strettamente lo riguarda, il Presidente del Consiglio è ancora più categorico: “Non ci sarà un governo senza i 5 Stelle, come ho già detto più volte”; così come “non ci sarà un altro governo Draghi”. Il Draghi bis di cui già si favoleggia nei partiti di maggioranza pronti a contendersi i tre dicasteri che i ministri 5 Stelle lascerebbero vacanti.

A 36 ore dal D-day di domani, giovedì, giorno in cui il Senato voterà il decreto Aiuti, la polvere si sta posando e gli schemi della partita si fanno più chiari. Il faccia a faccia Mattarella-Draghi di lunedì sera è servito per concordare la linea. Che è quella del dialogo con Conte e i 5 Stelle. Ma anche quella per cui la responsabilità di una eventuale crisi di governo cadrà solo e soltanto sulle spalle del Movimento. Il premier convoca un punto stampa nel pomeriggio di ieri (16.30 ) con la stampa italiana. E un altro in serata (alle 20) con la stampa estera. È necessario parlare al Paese ma anche agli alleati internazionali, europei, del G7 e del patto atlantico visto che le emergenze esterne sono di pari complessità rispetto a quelle interne. Con 36 ore di anticipo arriva così la risposta alla lettera che giovedì scorso Conte ha consegnato a Draghi. I “famosi” 9 punti rispetto ai quali il Movimento ha chiesto risposte chiare, “anche se non sarebbe serio averle in poche ore” come precisò Conte. La conferenza stampa, un inedito nella comunicazione di palazzo Chigi che incontra la stampa solo dopo il consiglio dei ministri e neppure tutti, solo quelli più importanti.

“Siamo qui per fare il punto sull’incontro di stamani con i sindacati” ha precisato il premier. In mattinata infatti per due ore – incontro già fissato da tempo – Draghi e alcuni ministri – Giorgetti, Orlando, Brunetta – hanno incontrato i leader sindacali per avviare il tavolo di concertazione su alcuni punti fondamentali dell’agenda “sociale” del governo: salario minimo, tutela del potere di acquisto, sostegno alla disoccupazione, lotta alle disuguaglianze. Agenda larga e vasto programma, si potrebbe dire. Che però si traduce in pratica, precisa Draghi, “con provvedimenti urgenti e strutturali e quindi ben prima della legge di bilancio” perché ci sono “almeno tre milioni di persone che risultano occupate ma insistono nella fascia di lavoro povero”. Il ministro del Lavoro Andrea Orlando illustra la proposta di salario minimo “con un meccanismo che tenga insieme il valore positivo della contrattazione collettiva e l’esigenza di un salario minimo per chi non beneficia della contrattazione e per chi ha contratti cosiddetti pirata”. L’obiettivo è “legare il minimo salariale per comparto alla migliore e più diffusa contrattazione”. Il salario minimo è una delle dead line 5 Stelle: lo chiedono da mesi, “accusano” Orlando di traccheggiare e non c’è dubbio che ieri abbiano ottenuto una risposta e un impegno concreto. Così come su altri dei 9 punti della lettera. Draghi li elenca: “Riduzione del cuneo fiscale per gli stipendi più bassi”; “rinnovo dei contratti scaduti da 6 e anche 9 anni”; lotta all’inflazione, alla speculazione e quindi al caro energia. “Entro la fine del mese – anticipa Draghi – sarà approvato un provvedimento che il sottosegretario Garofoli ha definito “corposo”.

Vi posso confermare che lo sarà”. Anticipazioni non ne sono state fatte né ai sindacati né in conferenza stampa. Ma gli ultimi provvedimenti analoghi hanno prodotto misure pari a 33 miliardi di euro. Una manovra di bilancio. Tutti soldi recuperati dalle pieghe del bilancio e per lo più dall’extragettito ottenuto dalle aziende del comparto energia che hanno accettato una tassazione del 40% sui 40 miliardi di extraguadagni avuti in questo anno di speculazione sul caro energia. Draghi tiene a precisare due punti: non ci sarà lo scostamento di bilancio perché le misure saranno finanziate, come è successo finora contro il caro benzina e il caro bollette, “da altre entrate del bilancio dello Stato”; ed è contento del fatto che la lettera di Conte “corrisponda perfettamente all’agenda di governo”. Come dire: caro Movimento 5 Stelle, ti ascolto, ti dedico una conferenza stampa ma le tue richieste coincidono con l’azione di questa maggioranza e di questo governo. Cos’altro sono i 33 miliardi messi sul tavolo in questi primi sei mesi, il bonus da 200 euro per 28 milioni di italiani e il contributo fiscale per i redditi sotto i 35 mila euro? Sono capitoli di un’agenda sociale che “io, governo” ti lascio rivendicare ma che è di tutte le forze che compongono la maggioranza.

Fin qui il ramoscello d’ulivo a Giuseppe Conte. Che riunirà stamani alle 8 il Consiglio nazionale per decidere cosa rispondere. Se sarà no, se anche questo non basterà, la responsabilità della crisi sarà solo e soltanto dei 5 Stelle. Perché poi, per le vie brevi – al di fuori della conferenza stampa – ai ministri del Movimento è già stata recapitata un’altra mediazione, sul Superbonus edilizio al 110%: ci sarà un decreto che sbloccherà lo stallo del credito cercando di correggere anche questa ennesima stortura, l’undicesima per essere precisi. È chiaro, purtroppo, che non è il merito delle misure il problema. Fosse quello, cosa fare e in che modo, le forze di maggioranza hanno vari modi per discutere al loro interno e poi decidere. È quello che fanno da un anno e mezzo. È chiaro invece che il problema è di posizionamento politico, il consenso, le bandierine, i sondaggi che crollano, l’astensionismo che cresce. Draghi lo sa benissimo. E infatti precisa la sua posizione: con il ramoscello d’ulivo messo ieri sul tavolo, i 5 Stelle non possono strappare. Non possono non votare la fiducia domani al Senato sul decreto Aiuti (23 miliardi per famiglie e imprese). Se lo fanno se ne assumeranno tutta la responsabilità. Sugli scenari per giovedì sera in caso di strappo, il Presidente del Consiglio non ha dubbi: decide Mattarella, no al Draghi bis senza 5 Stelle. C’è un non detto, però: il governo Draghi ha in numeri (circa 160 voti al Senato) e quindi la fiducia anche senza i 5 Stelle.

Non solo: non è corretto dire che l’eventuale strappo di domani mette i 5 Stelle fuori dal governo. La scialuppa Insieme per il futuro è stata fatta proprio per questo: qualcuno può forse affermare che il ministro Di Maio non rappresenta una larga fetta degli stellati? Avanti senza Conte e senza il simbolo dei 5 Stelle non vuole dire “senza i 5 Stelle”. Vedremo. Il testo sul decreto Aiuti arriverà in aula al Senato domattina. E dovrebbe essere subito messa la fiducia. I senatori 5 Stelle , rimasti in 62, potrebbero dividersi. Si parla di una ventina di irriducibili. Gente che ha deciso di uscire dalla maggioranza anche se Draghi desse loro la luna. Che ovviamente non può e non vuole dargli. Cosa farà ora Conte? Vedremo stamani. Intanto ieri ha suggerito a Rocco Casalino di stoppare ogni spin sul voto di domani.

Poco dopo la conferenza stampa giravano vorticose indiscrezioni di “non partecipazione al voto”. E gli stessi senatori irriducibili hanno ripresentato gli stessi emendamenti: contro il termovalorizzatore e a favore del Superbonus. Come se nulla fosse. Come se avessero già deciso. Si profila un’altra scissione? O magari sarà lasciata libertà di voto ai dissidenti? Adesso è tutto in mano a Conte. E alla sua leadership. Un Draghi sorridente ieri ha ripetuto: “Questo governo sta gestendo queste importanti fibrillazioni e sta continuando a lavorare bene. È chiaro che con ultimatum non si lavora e non si può governare. E questo lo dico a beneficio di tutti coloro che prevedono disastri e sfracelli in autunno. Se il governo non lavora, non continua”. È stata forse la parte più sincera della conferenza stampa di Draghi.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.