Rinviamo tutto”. Mentre l’elicottero del presidente Mario Draghi è costretto a rinunciare all’atterraggio a Canazei causa maltempo (ci arriverà poi in auto da
Verona) e il bollettino delle vittime diventa sempre più pesante, Giuseppe Conte è già riunito con i suoi fedelissimi del Consiglio nazionale in via Campo Marzio e realizza che costringere il premier ad andare di fretta per onorare l’appuntamento delle 16 e 30 a palazzo Chigi sarebbe incomprensibile. Un boomerang. Il premier in effetti aspettava quella telefonata che arriva poco dopo le 13. “Tutto rinviato data la situazione”.

L’incontro chiarificatore, in un senso o nell’altro, tra il premier in carica e il suo predecessore nonché capo politico del Movimento 5 Stelle è rinviato a domani. Appena Draghi tornerà da un altro viaggio strategicamente molto importante, il bilaterale ad Ankara con il presidente Erdogan. Un incontro ad altissimo tasso di aspettative: sulla guerra, sullo sblocco del grano, sull’approvvigionamento di materie prime. Erdogan è stato abile in questi mesi a conquistare un ruolo di cerniera tra Mosca e l’Europa. Ed è lui, dopo l’ok all’ingresso nella Nato di Finlandia e Danimarca, l’uomo con cui parlare adesso.

Il faccia a faccia Draghi-Conte è stato quindi solo congelato. Anche la riunione del Consiglio nazionale è stata aggiornata: si vede che non c’è molto da dire. Entrambi i due appuntamenti rischiano però di essere una formalità perché i giochi sono fatti: sarà un incontro che cercherà di prendere tempo e offrire a Conte qualche argomento per poter dire ai “suoi” che vale ancora la pena restare in maggioranza. La vera incognita è chi e cosa rappresenta oggi Giuseppe Conte. E che margini ha e avrà nel breve periodo di tenere a bada senatori e anche deputati convinti che il Movimento debba andare all’opposizione. E chi se ne frega dell’alleanza con il Pd.

A margine dei lavori dell’aula a Montecitorio dove si discute il decreto Aiuti – da convertire entro la fi ne del mese e siamo alla prima lettura – si ricostruisce la trama dello stato dell’arte nel Movimento. E del rapporto con Conte raccontato, da un deputato 5 Stelle, come “loose-loose”, cioè uno che qualunque cosa faccia a questo punto è destinato a perdere. Perché non esiste in realtà qualcosa – una bandiera o uno scalpo – che Conte possa veramente issare per dire ai gruppi parlamentari: “Avete visto?
Ho ragione io, ci siamo fatti rispettare, il Movimento pesa”. Il decreto Aiuti è illuminante su questo. Sono quattro i dossier che i 5 Stelle definiscono irrinunciabili: reddito di cittadinanza; bonus edilizio 110%; termovalorizzatore nella Capitale; invio di armi all’Ucraina.

Sulle armi il Movimento ha appena dovuto fare il passo indietro: il 21 giugno il Parlamento, con i voti dei 5 Stelle, ha approvato una risoluzione che conferma pari pari il
decreto di fi ne febbraio, cioè l’invio di armi avviene con decreto interministeriale e il governo aggiorna il Parlamento ogni tre mesi. Gli altri tre dossier sono tutti contenuti nel decreto Aiuti, quello che stanzia 23 miliardi per famiglie e imprese contro il caro bollette e l’inflazione. Sul reddito di cittadinanza è passato in Commissione un emendamento che limita ad una sola chiamata (e non più a due) la possibilità di rifiutare l’offerta di lavoro prima di perdere il diritto all’indennità mensile.

È quel “miglioramento” che le altre forze di maggioranza chiedevano e che gli stessi stellati hanno accettato. Non si vede come possano fare un passo indietro. Sul Superbonus al 110%, lo stesso Fraccaro (ancora con i 5 Stelle) ieri mattina intervenendo in aula ha detto che il testo è stato “migliorato”. Il governo, del resto, sa benissimo che, per quanto Draghi giudichi sbagliato il provvedimento, non è possibile a questo punto tornare indietro. Dunque il Superbonus sarà corretto e confermato. Sul termovalorizzatore della Capitale, voluto dal sindaco Gualtieri (Pd), lo stesso Pd non ha alcuna intenzione di fare marcia indietro e in Commissione è stato bocciato l’emendamento 5 Stelle che lo voleva cancellare. Tra i voti contrari all’emendamento 5 Stelle anche quello della deputata Faro che ha poi seguito Di Maio nella
nuova formazione politica.

Insomma, uno dopo l’altro sono stati svuotati i dossier bandiera dei 5 Stelle. I gruppi lo sanno. Ed è evidente che ormai la battaglia per loro prescinde dal merito e riguarda solo una scelta politica: uscire dalla maggioranza per avere mani libere nella lunga campagna elettorale e recuperare consensi. Pazienza per il campo largo di Letta e l’alleanza con il Pd. La domanda è che cosa farà a questo punto Conte. Il pressing su di lui è forte: al Senato riguarda quasi tutti i senatori; anche alla Camera il pressing è forte e vede in prima fila parlamentari “moderati” come Brescia, presidente della Commissione Affari costituzionali, e la Baudino.

Il due volte presidente del Consiglio è circondato da fedelissimi – Ricciardi e Turco – che lo spingono alla rottura ma è anche molto sensibile al richiamo istituzionale del Colle e all’aut-aut di Draghi: “Questo governo è nato con i 5 Stelle, non guiderò una maggioranza diversa”. Tradotto: se c’è una crisi di governo – automatica se i 5 Stelle strappano – si va al voto. E Conte avrebbe la responsabilità davanti al Paese di aver provocato la crisi di governo in uno dei passaggi più complicati dal secondo dopoguerra tra guerra, Covid, inflazione e speculazione. Un deputato stellato che ha seguito Di Maio la vede così: “Mercoledì Conte uscirà da palazzo Chigi, proverà a dire di aver ottenuto qualcosa, il salario minimo ad esempio (su cui tutte le forze politiche sono più o meno d’accordo, ndr) e proverà ad andare avanti. Credo che Draghi proverà anche ad aiutarlo in questo. In realtà la tensione aumenterà in aula nelle prossime settimane e mesi. Spiace dirlo ma per Conte è iniziata la fase del logoramento”. A questo punto molto dipenderà dall’azione dei pontieri-mediatori: i ministri Patuanelli, D’Incà e Dadone, dallo stesso Fico che non hanno alcuna intenzione di lasciare il governo.

Un altro fronte sensibile e “utile” per ricompattare la maggioranza potrebbe essere quello dell’inflazione. Il fedelissimo Turco, senatore, ieri ha rilanciato sul tema del caro prezzi, lotta alla speculazione e aumento dei salari. Peccato che Draghi sia stato il primo, e da mesi, a lavorare su questo fronte. I 5 Stelle vorrebbero prezzi
amministrati sui beni chiave, energia e grano. Il price cup è la battaglia di palazzo Chigi ancora prima che iniziasse la guerra. Poi tra il dire e il fare c’è sempre in mezzo un
oceano. Un altro fronte su cui è possibile misurare nelle prossime ore la febbre nella maggioranza è la fiducia sul decreto Aiuti. Ieri in aula il Movimento ha avuto dieci persone iscritte a parlare. “Ostruzionismo stellato contro il ministro D’Incà…” osserva velenoso un deputato Pd. La fiducia sembra quasi certa perché il provvedimento deve ancora andare al Senato e deve essere convertito entro la fi ne del mese. Potrebbe essere messa stamani. Significa che l’aula della Camera voterà prima dell’incontro Draghi-Conte previsto domani alle 16.30. Anche questo sarebbe vissuto dagli stellati come uno sgarbo, un’umiliazione. I ministri 5 Stelle sono al lavoro per ritardare il voto di fiducia almeno a dopo il faccia a faccia. L’ipotesi più avvalorata, al momento, è che il M5S voti la fiducia confermando il sostegno al governo, per poi astenersi sul testo che contiene la norma. Del resto era stato Grillo una settimana fa, nella sua tre giorni nella Capitale, a dire: “Non si fa cadere un governo per un c…o di inceneritore”. Ma tra pochi giorni al Senato potrebbe non andare così.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.