Tanto rumore per nulla. Scomodando Shakespeare e una delle sue più brillanti novelle, si chiudono così venti giorni di chiasso e minacce 5 Stelle. Il rischio crisi di governo è scongiurato. Per ora. Pronto ad essere nuovamente agitato appena sarà necessario smuovere di nuovo le acque per attirare su di sé un po’ di attenzione. Difficile dire se e quanto paghi in termini di consenso questo tatticismo esasperato. Se invece alla lunga non risulti per quello che è: irritante e perditempo. Anche perché a furia di tirare la corda può essere che ad un certo punto si strappi veramente.

Giuseppe Conte varca il portone di palazzo Chigi poco dopo mezzogiorno e la prima cosa che dice al presidente Draghi è: “Non è nostra intenzione far cadere questo governo, siamo leali ma ci dovete ascoltare”. Da lì è tutto in discesa, praticamente. Un passo doppio di danza dove la rivendicazione fa pari con la rassegnazione; l’ultimatum del leader stellato (“entro luglio valuteremo le risposte del governo”) con la fiducia che il governo mette sul decreto Aiuti così com’è senza toccare una virgola; l’ambiguità delle sue parole (“adesso valuteremo con i capigruppo cosa fare, la nostra non è una cambiale in bianco”) con le decisioni in realtà già prese: il Movimento voterà la fiducia al decreto Aiuti ma si asterrà nella votazione sul testo finale.

Quindi ora conviene – o tocca, dipende dai punti di vista – rimettere in fila questi venti giorni di delirio e poi valutare le reali condizioni di salute della maggioranza. Prima di tutto distinguiamo i fatti dalle bugie. La storia di Draghi che aveva chiesto a Grillo la testa di Conte è finita dove doveva finire: nel nulla. Nell’incontro ieri, dalle 12 alle 13 circa, il caso che per cortesia istituzionale fece rientrare il premier dal vertice Nato di Madrid si è rivelato quello che è sempre stato: una bufala. Le famose “prove oggettive” non ci sono. Resta la vergogna per chi ha alimentato quel cancan. I nomi sono noti. Una volta chiarito che, parole di Conte, “il Movimento conferma in modo leale il sostegno al governo”, l’ex premier ha consegnato al suo successore un documento di sette pagine condiviso con i membri del Consiglio nazionale. In nove punti il Movimento spiega “le ragioni del profondo disagio politico” di essere in maggioranza. La premessa riguarda “l’assoluta responsabilità nazionale”, la “generosità politica”, la “consonanza con le indicazioni del Presidente Mattarella” e come questo “atteggiamento sia stato però pesantemente pagato in termini elettorali”.

Ora il Movimento “pretende un forte atto di discontinuità” per evitare che la responsabilità diventi “atteggiamento remissivo e ciecamente confidente”. Sempre tra le premesse c’è la nota questione della collocazione internazionale e dell’invio delle armi all’Ucraina. “Vogliamo più che mai, e molto più di altri – si legge nel documento – essere e contare in Europa e mantenere la nostra storica alleanza dentro la Nato. Il punto è come si sta in queste sedi: con dignità e autonomia, consapevoli di essere una delle prime democrazie al mondo”. Come se la posizione del governo italiana fosse ancillare rispetto alle disposizioni europee e a quelle dell’Alleanza atlantica. Poi ci sono i nove punti veri e propri, nove bandiere identitarie del movimento: reddito di cittadinanza, salario minimo, intervento straordinario per famiglie e imprese “utilizzando uno scostamento di bilancio o attraverso un sostanzioso taglio del cuneo fiscale a favore dei lavoratori”. E poi stop alle trivelle e allo sfruttamento dell’energia fossile, la necessità e “bontà” del superbonus 110%. E ancora: ripristino del cashback fiscale: piano straordinario di rateizzazione delle cartelle esattoriali e “un meccanismo legislativo che eviti la violazione delle prerogative parlamentari da parte dell’esecutivo”. “Lavoriamo per ridurre le disuguaglianze” e il Movimento 5 Stelle “esiste per fare l’interesse dei cittadini e il bene del Paese” sono le parole d’ordine generali.

Draghi legge, ascolta e si riserva. Conte lascia il Palazzo, dichiara alle telecamere e intanto il suo ministro Federico D’Incà piazza la fiducia sul decreto Aiuti. Significa che il testo sarà votato a partire da oggi (alle 14) così com’è. Senza modifiche. L’atto di cortesia di aspettare le richieste dell’ex partito di maggioranza relativo è stato onorato. Poi però Draghi va avanti per la sua strada rassicurato dal fatto che, dopo aver letto il documento del Movimento, gli obiettivi del suo mandato sono coincidenti con quelli del Movimento. La differenza sta negli strumenti per raggiungerli. Ma gli obiettivi sono gli stessi. Infatti, mentre Conte chiude i microfoni in piazza Colonna sotto palazzo Chigi, il governo fa filtrare alcuni commenti. L’incontro viene definito “positivo e collaborativo”. Conte ha “confermato il sostegno del M5S al Governo e ha presentato una lettera i cui punti principali sono in continuità con l’azione governativa”. Vogliono le stesse cose, Draghi e Conte. Poi magari si differenziano sui modi per ottenere quegli obiettivi. Ma dovrebbe essere il risultato quello che conta. Perché dunque dividersi se “fare l’interesse dei cittadini e il bene del Paese” è l’obiettivo di entrambi?

La domanda è ovviamente provocatoria. Draghi, continuano le indiscrezioni da palazzo Chigi, “ha ascoltato con attenzione quanto rappresentato dal Presidente del M5s”. Subito dopo ha messo la fiducia. Significa che nel decreto Aiuti resta il termovalorizzatore per i rifiuti della Capitale, misura che serve ai cittadini soprattutto perché farà pagare meno tasse ai romani, e pazienza se è contro i principi ecologici del Movimento. Il mercato al momento non offre alternative mentre il trasporto fuori regione oltre che costare alimenta la criminalità. Nel decreto Aiuti resta anche la modifica del reddito di cittadinanza (ammesso un solo rifiuto) e del Superbonus 110%. È l’undicesimo intervento, giusto per dire quanto era stata scritta male quella norma. Non è ancora sufficiente. I grillini hanno provato martedì a riaprire il testo sul 110% chiedendo un intervento sulle banche. Il Mef lo ha bocciato perché costa tre miliardi. Il testo, ancora una volta, sarà votato così com’è. Ciò non toglie che lo stesso governo abbia riconosciuto l’esistenza del problema banche che però “sarà affrontato con un altro strumento, non in questo decreto”.

Deputata stellata, tra le più mediatiche e ragionevoli, in Transatlantico alla Camera intorno alle 16 e 30, dopo che hanno parlato Conte, palazzo Chigi, dopo che il documento è stata analizzato in ogni sua parte. Beh, dico, non è che avete ottenuto molto…. “E’ chiaro che non possiamo pretendere risposte immediate”. Quindi votate il decreto così com’è… “Votiamo la fiducia ma non il testo”. Arriva eco del fatto che Conte sta arringando i suoi nella sede di Campo Marzio, “aspettiamo risposte entro luglio”. Una cosa è certa: Draghi non potrà mai accettare di diventare un leader sotto ricatto delle sue forze di maggioranza. Anche perché se inizia a dare risposte al Movimento, poi dovrà darle alla Lega e via di questo passo. “Infatti – dice la deputata stellata– ecco perché io spero di uscire prima. Per noi non ha più senso, ci stiamo rovinando”. Ma gli obiettivi coincidono. “Sul salario minimo il governo fa melina”. Volete andare al voto in autunno? “E perché mai, una maggioranza c’è”. Evviva la sincerità. Se il Movimento esce, una maggioranza comunque c’è. Perché la crisi di governo fa comodo finché non si va a votare.

Al di là del commento ufficiale, Palazzo Chigi e il Nazareno sanno bene che l’incontro di ieri non ha risolto nulla. Nella miglior delle ipotesi ha solo rinviato il problema. Il senatore Marcucci (Pd) la vede così: “Conte non potrà continuare a lungo a tirare a campare. Il Pd e il governo condividono l’esigenza di fare tutto il possibile per aiutare cittadini ed imprese alle prese con aumenti delle spese veramente insopportabile. Draghi è al lavoro anche su questi fronti”. Ma il problema oggi non è più Conte: difficile che possa essere lui, già premier due volte e con maggioranze diverse, il leader che guida il Movimento all’opposizione. Il logoramento è evidente. Il problema sono i circa 200 voti che il Movimento ha ancora in Parlamento. Chi li controlla? Dove andranno nelle prossime settimane?

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.